IL CASTORO | Ovidio: un'avventura Indimenticabile

Faenza | 12 Marzo 2018 Blog Settesere
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Andrea Garreffa è l'autore del libro Ovidio, che racconta l'avventura vissuta in prima persona, insieme al suo amico Alberto, durante un viaggio primaverile del 2015 nell'America Centrale, da Cancun a Panama.

I due amici, dopo aver attraversato i territori del Messico e del Belize, si trovano in Guatemala, nella regione del Petén, diretti a San Antonio Las Cuevas, destinazione del giorno. A causa di imprevisti con le biciclette, mezzo con cui hanno intrapreso il viaggio, si trovano all'imbrunire ancora lontani dalla loro meta.

Durante una salita, sentono di essere seguiti, infatti hanno un'automobile con i fari puntati alle spalle, che non intende superarli.

In fondo alla discesa, si fermano a una stazione di rifornimento di benzina, in cerca di riparo e aiuto; all'arrivo di un autobus, si precipitano all'interno. Invece che sentirsi accolti, si sentono respinti, finché all'esclamazione «Dio vi benedica», pronunciata da Andrea Garreffa, si fa avanti un contadino del posto, Ovidio, che si dichiara disposto ad aiutarli. Il suo primo atto in soccorso dei due italiani è convincere l'autista a fare ripartire l'autobus. Li conduce poi presso la sua abitazione a San José el Tesoro, nella quale vive con la moglie e i figli e da qui si spostano nella casa della hermana, una suora del villaggio, dalla quale trovano ristoro e un posto per trascorrere la notte. Garreffa, una volta tornato a casa, comprende che il gesto di Ovidio ha salvato loro la vita e prende la decisione non solo di scrivere un libro su questa rischiosa avventura andata a buon fine, ma anche di organizzare un crowfunding, per costruire una casa nuova all'uomo che li ha soccorsi. Inoltre i soldi guadagnati con la vendita delle copie del libro vengono devoluti a Ovidio per il mantenimento della casa e della sua famiglia.

In occasione di una recente presentazione del piccolo volume, tenutasi al Caffè Nove100, abbiamo intervistato l'autore.

Qual è stata la motivazione che l'ha spinta a scrivere questo libro?

«Un bisogno personale di concludere questa mia avventura e lasciare una traccia nella mia memoria, perché con il tempo i particolari non andassero perduti. Scrivere è stato un modo per realizzare quanto fosse successo e comprendere di averlo vissuto veramente».

Quali sono i luoghi della vicenda?

«L'avvenimento si è svolto in una regione chiamata Alta Verapaz, nell'abitato di Yalpemech e il villaggio in cui abbiamo trascorso la notte si chiama San José el Tesoro».

Dal racconto si comprende che è stata un’avventura vissuta molto intensamente, quali sono le emozioni che sono prevalse durante la vicenda e dopo?

«Durante l'avventura è prevalsa la paura, il terrore, lo stordimento, il disorientamento e la sensazione di vivere in un sogno, in qualcosa che non era reale, che non apparteneva a uno stato di coscienza attuale, ma a una dimensione in cui il tempo e lo spazio avevano perso ogni riferimento. Dopo, mentre scrivevo, ho rivissuto quel sogno, ho avuto davvero la percezione che ogni cosa fosse realmente successa».

Le è capitato di pensare alla morte?

«Sì, ho pensato di perdere la vita in Guatemala, in più mi sono interrogato sul perché io mi fossi ritrovato in quella situazione e ho ripensato alla mia famiglia, alla mia casa e ai miei amici. Quando, sicuro di essere spacciato, ho salutato il mio amico Alberto, entrambi ormai senza speranze di sopravvivere, è come se avessi salutato tutti i miei cari, a cui pensavo di aver dato un grande dispiacere nell'essermi andato a cacciare in quella situazione. Ho vissuto quel saluto come un vero e proprio addio alla vita, oltre che ad un amico».

Questa esperienza ha rafforzato la sua fede religiosa?

«Mi reputo agnostico. Se prima di questo viaggio coltivavo il dubbio e sospendevo il giudizio sul tema della fede, questa avventura ha sicuramente aperto molte più domande che suggerito risposte».

La presenza di Alberto è stata importante per lei?

«La presenza di Alberto è stata fondamentale come amico e come compagno di viaggio essendo anche un bravo ciclista, ma nel racconto non emerge molto la sua figura. Nello svolgimento della vicenda mi sentivo ed ero io il protagonista, per il semplice fatto che parlavo spagnolo, quindi le decisioni immediate da prendere le dovevo prendere da solo, perché non c'era tempo per confrontarci».

Il sottotitolo della sua opera è «questo libro è un mattone». Che cosa significa?

«Ogni libro venduto costituisce la prova della solidarietà di molti, che con piccole donazioni, hanno deciso di posare un mattone, rendendo possibile la costruzione della casa per Ovidio e la sua famiglia».

L’ abitazione quanto è costata?

«Circa 4.000 euro. Tutti i soldi che io avevo raccolto glieli ho mandati, ma so che lui in parte, oltre che per il materiale necessario per la casa, li ha spesi per pagare i compagni guatemaltechi che l'hanno costruita».

Si sa perché Ovidio sia intervenuto per aiutarvi?

«Per buon cuore, perché rispondeva al suo imperativo religioso e alle parole ‘Dio vi benedica’ si è sentito di non poter fare diversamente».

Perché ha pronunciato proprio queste parole? Ha detto anche altro?

«Prima ho cercato di implorare l'autista a ripartire e quando ormai sapevo che lo avevo quasi convinto ho detto questa frase, perché sapevo di toccare un tasto sensibile in quella parte del mondo, dove la fede è molto sentita. In quel modo pensavo di riuscire a toccare le corde di qualche animo ed è stato proprio in quel momento che Ovidio si è alzato ed è intervenuto in nostro soccorso. È stata anche una frase di ringraziamento per l'aiuto, rivolta a tutte le persone sull'autobus».

Lei al posto di Ovidio che cosa avrebbe fatto?

Penso che se uno sconosciuto fosse salito su un autobus implorando aiuto, inseguito da gente, non gli avrei spontaneamente offerto aiuto da solo. Avrei forse cercato alleati sull'autobus, prima di schierarmi. Per me questo gesto, l'essersi esposto in prima persona, rende ancora più unico il gesto di Ovidio».

Se sapesse che qualcuno vuole intraprendere un viaggio del genere lo fermerebbe? Che consigli gli darebbe?

«Non lo fermerei perché ci sono luoghi meravigliosi che meritano di essere visti. Gli direi che le sfide da superare sono molteplici, ma ci si può rivolgere a guide locali e soprattutto, prima di partire, ci si deve documentare sui luoghi e i pericoli ai quali si può andare incontro, in modo che all'occorrenza si possa essere scortati».

È ancora in contatto con Ovidio?

«Sì, ci sentiamo una volta al mese tramite Skype. Ci raccontiamo qualcosa sulla famiglia e lui mi mantiene aggiornato sui progetti del suo villaggio. Mi ha informato, per esempio, di una recente iniziativa di un'associazione locale per installare cisterne al fine di raccogliere acqua piovana. Sto collaborando anche con la World Bicycle Relief di Londra, che raccoglie donazioni per far arrivare biciclette negli angoli più bisognosi del globo. Sarebbe bello riuscire ad avviare un progetto in Guatemala, per rendere la vita laggiù leggermente più semplice. Il bello è che WBR non si limita a portare biciclette, ma insegna anche a ripararle, dunque insegna anche un mestiere».

Quanti soldi hai raccolto con il crowfunding ancora prima di pubblicare il libro?

«Mentre scrivevo ho organizzato questa raccolta su internet e sono arrivati circa 3.600 euro. Poi con altre donazioni, avvenute non attraverso il sito, ho raccolto altro denaro, arrivando ad una somma di 4.212 euro».

Le donazioni sono ancora aperte?

«No, sono terminate quando è stata conclusa la costruzione delle casa, ma è possibile aiutare ancora Ovidio comprando le copie del libro».

Dove si può acquistare il libro a Faenza?

«C'è ancora qualche copia al Caffè Nove100. In alternativa mi si può contattare all'email andrea.garreffa@gmail.com».

Caterina Penazzi

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