Le parole hanno un potere immenso: sono capaci di unire, rendere felici e cambiare la vita, ma possono anche allontanare e creare ferite che non guariscono.
Faccine che esprimono disapprovazione, parole offensive, giudizi che vanno ben oltre al semplice «non sono d’accordo». Chi accede spesso a Facebook, Twitter o Instagram ha già capito di cosa si tratta. Sui social network siamo abituati a vedere ogni giorno centinaia di post, sotto i quali compaiono innumerevoli termini inappropriati, insulti o addirittura frasi dal carattere minaccioso. Basta un rapidissimo click, ed è fatta. Sembra quasi un'epidemia, che però non riguarda affatto l’influenza, ma l'uso della parola. Un'epidemia di cui il sintomo principale è la convinzione di avere sempre ragione, anche a costo di offendere chi si trova dall’altra parte dello schermo. Si arriva a tal punto perché, dietro a un cellulare o un computer, ci si sente liberi di affermare ciò che non si avrebbe mai il coraggio di dire di persona, senza rendersi conto che le parole e le offese hanno delle conseguenze che spesso si rivelano molto gravi.
Il Manifesto della comunicazione non ostile è un progetto nato il 2017, che consiste in una carta contenente dieci principi per contrastare il linguaggio negativo in rete, affinché sia migliorata la qualità della comunicazione.
Come afferma il quinto punto del Manifesto, le parole sono un ponte per comprendere, farsi capire e avvicinarsi agli altri, non insulti da utilizzare come argomentazione a sostegno della propria tesi. Le idee si possono certamente discutere, ma senza mancare di rispetto a chi non condivide la stessa opinione. I social network costituiscono un ambiente di condivisione e condividere, come è scritto in questo decalogo del fairplay comunicativo, è una responsabilità che va assunta facendo sì che scrivere e interagire con gli altri sia solamente qualcosa di bello e utile.
Jessica Gonelli, Elvia Shabani