Ravenna, Farinelli (Bambini): «Bisogna tornare ad estrarre gas in Adriatico. La ricetta contro la crisi è diversificare»

Emilia Romagna | 25 Settembre 2022 Economia
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Elena Nencini
Sono tornati in carreggiata dopo una crisi durata 4 anni, la Bambini di Marina di Ravenna si occupa principalmente di offshore e rimorchio, ma ­sta reggendo bene alle difficoltà di questo periodo, nonostante, a causa del decreto blocca-trivelle, l’azienda sia stata costretta a concentrare la gran parte del proprio lavoro all’estero, in particolare in Africa occidentale, come spiega Ugo Farinelli, dell’ufficio commerciale di Bambini.
Farinelli, come sta affrontando la Bambini l’attuale crisi?
«La combinazione covid/conflitto Ucraina ha sparigliato in modo importante ‘le carte’. Nulla è più come prima ed anche l’orizzonte temporale con cui viene effettuata la nostra pianificazione è sempre più stretto. La ricetta è di mantenere il più possibile un’organizzazione snella e gestire in modo parsimonioso le risorse, con un’attenzione molto marcata sul controllo dei costi».
Circa il 65% del vostro fatturato deriva dall’estero quanto influisce la logistica in questo momento?
«La logistica intra-aziendale per il supporto alle nostre unità all’estero è una voce sempre più importante del budget. I trasporti e le movimentazioni sono molto rincarati, le formalità sono aumentate ed i tempi di consegna dilatati».
Il rincaro dei carburanti sta condizionando il vostro lavoro?
«Come ogni azienda, dipendiamo in maniera importante dall’energia. E’, tra l’altro, il nostro settore di lavoro. Prezzi alti dell’energia significano rincari in tutte le voci di spesa, perché costa di più acquistare sia beni che servizi. Abbiamo registrato anche episodi di mancanza di prodotti petroliferi per la propulsione delle nostre navi. E’ importante sapere pianificare sempre in modo lungimirante, anche se gli orizzonti a disposizione sono sempre più a breve termine».
Pensate che ci siano nuovi mercati per il futuro del vostro lavoro?
«Ci siamo spostati all’estero in conseguenza delle scelte della nostra classe politica. Purtroppo la nostra è stata una emigrazione forzata in virtù della riduzione dei volumi di produzione di idrocarburi in Italia e della difficoltà a far decollare progetti offshore per le rinnovabili. Al momento il nostro mercato principale è quello dell’Africa subsahariana, nel quale abbiamo cercato di consolidare la nostra posizione, vista la situazione di casa nostra. Crediamo che questo mercato abbia ancora importanti potenzialità di sviluppo, considerati anche gli sforzi delle energy company che si sono trovate costrette anche al rimpiazzo delle importanti forniture russe. Stiamo comunque guardando anche altrove perché la diversificazione e l’innovazione (sotto ogni aspetto, anche gestionale) sono la migliore medicina ai difficili ed incerti periodi che ci troviamo ad affrontare».
C’è scarsità per il noleggio dei container?
«La nostra catena di approvvigionamento verso le unità dislocate all’estero prevede la movimentazione di merci via mare a mezzo container. Abbiamo purtroppo registrato ritardi e contrattempi. Ulteriori fattori che ci hanno causato qualche difficoltà in più da gestire».
Il personale ha subito tagli?
«Nessun taglio di personale è stato registrato. Le nostre attività hanno tenuto e, negli ambiti in cui abbiamo subito un rallentamento dell’attività, siamo riusciti ad assorbire la maggiore disponibilità di personale con qualche periodo di ferie aggiuntivo».
Cosa pensa della transizione energetica e quanto può influire la riconversione?
«E’ un tema che ci vede tutti coinvolti, sia come cittadini che, a maggior ragione, come operatori d’impresa. Bisogna accostarsi alla transizione in modo ragionato e lungimirante, senza colpi di testa o estremizzazioni, sennò si rischia di sacrificare sull’altare di una paventata sostenibilità ambientale di facciata, danni maggiori, oltreché una minore sostenibilità sociale. Ciò in conseguenza delle ineluttabili scelte che dovranno essere operate per garantire un avvenire a noi stessi ed ai nostri figli».
Cosa ne pensa della possibilità di tornare a estrarre gas in Adriatico?
««Decisamente positivo, nonostante l’incremento della produzione a ‘stretto giro’ risulterebbe comunque abbastanza esiguo rispetto alle risorse russe da rimpiazzare. Inoltre, i tempi per riattivare la produzione sarebbero tutt’altro che immediati, perché servirebbero mesi o anni per sanzionare ed autorizzare nuovi progetti e, così, invertire la tendenza drammatica del calo della produzione di gas nazionale. Sarebbe però fondamentale utilizzare queste risorse ‘italiane per gli italiani’. Innanzitutto perché sono praticamente gli stessi bacini di giacimenti dai quali potenzialmente prelevano anche gli altri stati rivieraschi del mare Adriatico, poi perché le aziende e, quindi, le maestranze per i lavori necessari sarebbero italiane ed, in gran parte, romagnole. Si tratta di attività sicure, che hanno un positivo impatto sull’intera nazione (lavoro, royalties, contributo all’indipendenza energetica, etc.). Per certi versi, si sta riproponendo lo stesso paradosso del nucleare: come italiani abbiamo detto no, ma poi abbiamo avuto la necessità di continuare ad acquistare energia prodotta con questa tecnologia, a pochi chilometri da casa nostra. Abbiamo una filiera di imprese, la manodopera, l’indotto e le competenze da salvare. Il gas naturale è comunque considerato, anche a livello di istituzioni e politica europee, come il vettore di energia fossile di transizione verso una economia a minore impatto carbonico. Non possiamo e non dobbiamo perdere questa opportunità».
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