La lughese Valentina Brini, giornalista Ansa da Bruxelles. "Italia sempre più isolata in Europa"

Emilia Romagna | 17 Novembre 2018 Politica
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Valentina Brini è nata a Faenza, ma ha sempre vissuto a Lugo, ha studiato prima comunicazione a Padova e poi giornalismo a Milano. Nel 2014 è arrivata all’Ansa a Roma, alla redazione economica, un anno dopo è diventata professionista, e poi il trasferimento a Bruxelles. Quando non scrive di Europa, legge Jonathan Safran Foer, va ai concerti di Bon Iver, ascolta le canzoni di Joni Mitchell e guarda i film con Colin Firth. Dalla prossima settimana terrà per il nostro giornale la rubrica «Quartiere Bruxelles», che ci permetterà di capire cosa si muove in «Europa» in un percorso di avvicinamento verso le elezioni della primavera prossima. Questa settimana ci racconta i suoi primi due anni a Bruxelles e le impressioni che ha raccolto sull’Italia.
 
Valentina Brini
La chiamano «la bolla». Come una di quelle con cui giochiamo da bambini, soffiando dentro a una cannuccia immersa nell’acqua e nel sapone. È abbastanza grande da non scomparire al primo anelito di vento, ma comunque fragile e precaria. È abbastanza grande anche da fagocitare chiunque ci entri, tanto da nasconderlo alla realtà e farlo, magicamente, scomparire. La realtà, sì. Perché la chiamano «la bolla» per contrapporla alla realtà, come se di per sé politica, economia e società – che lì dentro si creano, si intrecciano e si distruggono tra proposte, regolamenti e decisioni che ricadono come un domino invisibile sulla vita di ciascuno di noi – siano qualcosa di troppo vetusto, grigio e distante per la realtà. Per i popoli. «La bolla» è l’Europa, o meglio, sono le istituzioni europee a Bruxelles. Quelle che oggi sentiamo così distanti e con cui il governo italiano ha aperto una sfida che non è fatta solamente di contenuti ma anche e soprattutto di frasi, atteggiamenti e comunicazione.
Quando, un paio di anni fa, sono arrivata a Bruxelles per l’Ansa, non mi sono accorta subito di questa distanza. Del resto, la sala stampa europea è talmente grande (oltre 1300 giornalisti accreditati per quasi 500 media diversi di tutto il mondo) che, dopo due anni, ancora non riconosco tutte le facce dei colleghi stranieri che mi passano accanto. La bolla mi sembrava, semplicemente, grande, ma non distante o confusa. Era, anzi, interessante capirne il funzionamento dal suo interno. Ci è voluto tempo, ma con un po’ di osservazione è emersa la distanza tra quella bolla e tutto il resto. Una distanza fatta di comunicati stampa, Consigli europei troppo spesso inconcludenti, stili di vita lontani, che fa dissolvere oltre la metà delle cose che accadono qui, comprese quelle positive. Le decisioni dell’Ue («è l’Europa che ce lo chiede») da qui all’Italia si perdono nell’etere del disinteresse, di un linguaggio spesso astruso e di un muro contro muro che negli ultimi due anni ha portato l’arco dei nazionalismi a estendersi dalla Grecia alla Svezia, con più o meno forza. Nella bolla, noi giornalisti proviamo a raccontare una politica che da tempo ha smesso di prendere in mano il proprio destino e ha rimandato le risposte più urgenti alle calende greche. Ma la storia non si è mai fermata e non lo farà certo ora. Il rischio, per la bolla, è di bucarsi e scomparire. E’ un rischio mortale, ricordato in questi giorni dalle celebrazioni del centenario della fine della prima guerra mondiale.
Qui nella sala stampa di Bruxelles proviamo a partire dal linguaggio, ma raccontare l’Europa, per farla uscire da quella bolla e inglobarla nelle altre bolle, quelle nazionali, non è così facile. Siamo anche noi figli «estranei» di quella bolla: precari, preda di tecnicismi da iniziati, vittime di uffici stampa, politici e commissari non sempre disponibili, e decisioni che non sempre condividiamo. Ma che proviamo sempre e comunque a raccontare, anche in un momento in cui la verità è diventata improvvisamente sfocata, mobile e instabile. Per questo, ci confrontiamo tra noi, cerchiamo di approfondire. E, in questi giorni, sono i colleghi esteri quelli che fanno più domande agli italiani. «Che cosa sta succedendo davvero in Italia?», ci chiedono. «Il governo cambierà la sua linea dura?», «Che cosa significa ‘contratto di governo’»? Di recente, un giornalista del quotidiano tedesco Die Zeit mi ha chiesto qualche informazione per fare un ritratto di Salvini, proprio mentre il vice premier decideva di chiudere i porti italiani e impedire l’ingresso ai migranti. Non è stato facile spiegargli quale fosse la proposta italiana. Sembra quasi che anche la politica del nostro Paese si sia trasformata in una bolla. Distante, incomprensibile, fine a se stessa. I colleghi spagnoli solo una settimana fa hanno chiarito che tra lo sforamento di Madrid delle regole Ue sul bilancio e quello di Roma c’è una notevole differenza: il pensiero apertamente pro-europeista del nuovo governo di Pedro Sanchez. Eppure, non è facile raccontare ‘a casa’ che le regole, e così i compromessi e le eccezioni, prendono forza quando si agisce “uniti nella diversità”, come in tutti i rapporti umani. Oggi, in Europa, restano Ventotto bolle separate, di cui una, quella italiana, al momento isolata.
 
 
 
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