IL TESSITORE DEL VENTO di Guido Tampieri - Attacco alla terra

Emilia Romagna | 04 Aprile 2023 Blog Settesere
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Guido Tampieri - Bla, bla, bla, bla, bla… Per contrastare il cambiamento climatico e più in generale l’inquinamento dell’orbe terraqueo, «dei pesci del mare, degli uccelli del cielo, del bestiame, delle bestie selvatiche e di tutti i rettili che strisciano sulla terra, nonché di ogni erba che produce seme e di ogni albero in cui è il frutto che produce seme…» stiamo facendo niente di niente. Un crimine contro l’umanità e, per chi crede, contro Dio. Che non ha creato l’armonia dell’universo perché dei supponenti esserini bimani appena scesi dagli alberi la distruggano. Chi avrà più ascolto il giorno del Giudizio? Gli inascoltati giovani che, mossi dalla frustrazione, imbrattano scriteriatamente quelli che identificano come i simboli di un potere inerte. O i sepolcri imbiancati che, inalberando il vessillo pirata del realismo, ci stanno portando oltre il punto di non ritorno? Per ripulire Palazzo Vecchio dalla vernice c’è voluto un giorno di lavoro. Per ripulire la Terra dalla plastica non basterà l’eternità. L’acqua per dissetarla già manca. Nel 2050, domattina, metà della popolazione mondiale, verosimilmente la più povera,ne sarà priva. Lungo le rive del Po la processione dei coccodrilli in lacrime non gli ridarà la vita. C’è stato un momento in cui gli uomini si sono accorti che la fine della terra e della loro stessa esistenza non dipendeva più dalla storia naturale ma da quella umana. Un momento in cui abbiamo cessato di vedere solo l’oppressione della natura sull’uomo e abbiamo cominciato a vedere l’opposto, la natura sottomessa e violata dall’uomo. Quel primo momento è stato la bomba atomica. Il secondo è il riscaldamento globale, la più grande minaccia che l’umanità abbia affrontato collettivamente. Se non lo fermiamo non avremo una terza occasione per chiudere il cerchio della consapevolezza. Sarà come combattere la terza guerra mondiale. Quando è il momento di agire? Rivedere i fondamentali della crescita è una necessità storica. Nella quale convergono così le ragioni scientifiche (ecologia è la scienza che protegge la natura, il termine viene usato per la prima volta nel 1866) come quelle economiche e sociali. Se la voce della ragione fatica ancora ad oltrepassare il muro eretto a difesa dell’esistente è perché, sostiene Edgar Morin, la crisi che stiamo attraversando, da quella dello sviluppo a quella ambientale, si accompagna a una crisi cognitiva che ci impedisce di afferrare la complessità, di coglierne le implicazioni relazionali, di ridefinire la gerarchia dei bisogni e la scala delle attenzioni individuali e sociali. A preoccupare non è tanto la patologia, la speculazione, l’interesse ingovernato, ma la fisiologia, la sottovalutazione, il respiro progettuale affannoso, l’assenza di prospettiva, la rinuncia a esplorare altre vie. Quando un mondo nuovo richiede invece pensieri e politiche nuove, una situazione straordinaria pretende risposte straordinarie e il precipitare del tempo vuole che lo si consideri la risorsa più preziosa.
Questa è la sfida. Che esitiamo a raccogliere. Come un cavallo che rifiuta l’ostacolo. Non stiamo prendendo tempo per fare le cose meglio, stiamo solo perdendo tempo. Attardandoci su vecchi sentieri che non ci faranno uscire dal bosco in cui ci siamo smarriti. Il green deal tracciato dall’Ue non ha alternative razionali. Né sul piano ecologico né su quello economico. Il composito fronte che lo osteggia, da Belpietro a Cerasa, da Briatore a Cacciari, non ha niente da proporre se non la conservazione dello status quo. Che equivale a una condanna a morte. Perché quella ecologica è la madre di tutte le battaglie nonché il traino dell’innovazione. Non c’è terreno migliore su cui difendere le imprese e il lavoro. Giorgia Meloni ammonisce che l’auto elettrica «non è la panacea di tutti i mali». Dica lei, che dispensa panacee come brioches, cosa propone che non sia una politica dello struzzo. Nessuno ignora le difficoltà di questo passaggio al futuro. Onestà vorrebbe che si calcolassero i costi umani ed economici di restare inchiodati ai blocchi di partenza.
Il Presidente di Nomisma Energia, per zittire una generazione in lotta per il proprio domani, ha coniato un neologismo : eco-comunismo. Ai suoi occhi manageriali evidentemente la fusione del peggio. Ogni volta che si cerca di cambiare qualcosa in questo Paese qualcuno agita lo spauracchio.
Quasi che i mali dell’Italia li avessero generati i comunisti, che quando lo erano davvero non governavano e quando hanno governato non lo erano più. Quasi che il dissesto territoriale, l’aria irrespirabile, l’acqua inquinata, le reti acquedottistiche colabrodo, il sistema dei trasporti squilibrato, le arretratezze tutte le avessero causate gli ambientalisti.
Quando mai hanno avuto il potere di farlo? E in Germania come fanno con tutti quei verdi? Gli spropositi sono come una droga. Dovrebbe esserci una legge che regola la modica quantità. Dicono che se si accelera sull’elettrico si danneggiano le imprese italiane che fanno componenti per le auto tradizionali prodotte all’estero. Ma se le case automobilistiche tedesche e francesi le fanno green, noi le componenti per chi le produciamo? E se temiamo di favorire la Cina perché si è mossa prima, pensiamo che le cose fra 10 anni andranno meglio? O davvero Briatore possiede l’arma finale che ci farà vincere la guerra regalandoci un mondo più pulito e giusto? L’economia, dice  Gaël Giraud, non soggiace a leggi naturali. È una disciplina politica e dunque deve rispondere a istanze democratiche, soddisfare i bisogni dell’umanità. Non è vero che siamo tutti ecologisti. Quel che ci divide non è il contrasto fra utopia e scienza ma fra una scienza che protegge la natura e una che non lo fa. Se dici che una cosa si deve fare poni le premesse per farla. Se la rinvii poni le premesse per rinviarla ancora. Questa è la storia cambiamento climatico. Che poteva essere mitigato. La libertà di intraprendere non c’entra. Non c’è libertà di inquinare e di isterilire la Terra. La libertà totale per i lupi significa morte per gli agnelli.
Questo, diceva Dahrendorf, può esigere la limitazione della libertà di coloro che minacciano il bene comune e la specie umana stessa. Per fare spazio al benessere sociale, per sfamare gli affamati, vestire gli ignudi, consentire agli altri di essere liberi e ai nostri nipoti di essere felici. Non è comunismo, sono i fondamentali del pensiero liberale.
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