Dall’altra parte dell’incendio: Pietro Cagnoni, il commissario fascista

Emilia Romagna | 15 Giugno 2022 Fata Storia
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Veronica Quarti - L’assalto fascista alla Federazione delle Cooperative di Ravenna, che si concretizzò nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1922 portò ad una posizione di rilievo molti dei «neri» romagnoli, che avevano appoggiato l’incendio e, soprattutto, avevano beneficiato del rifiuto intransigente di Nullo Baldini (di cui abbiamo parlato la scorsa settimana) che era stato chiamato a collaborare col Fascismo. Tra questi personaggi vi era il romagnolissimo ragioniere Pietro Cagnoni, che il 15 novembre 1922, pochi mesi dopo l’assalto alla sede delle Cooperative, assunse il comando della Federazione come commissario straordinario, con alcuni obiettivi che avrebbe dovuto risolvere il prima possibile: ricoprì tale incarico per due anni.
Cagnoni sapeva sicuramente il fatto suo, ma era stato piazzato lì dal Partito fascista perché ci si aspettava da parte sua una vera e propria svolta che sicuramente ci fu, ma prese una piega diversa rispetto a quella assunta in altre zone della Romagna, per la quale molte cooperative «rosse» vennero brutalmente distrutte dalla forza squadrista: Cagnoni sosteneva infatti che, laddove fosse stato possibile, era necessario consolidare quegli aspetti sani delle cooperative di lavoro che era stato chiamato a gestire e trasformare.
In realtà Cagnoni era un calcolatore: sapeva infatti che utilizzare la forza bruta ben conosciuta nelle campagne della Romagna significava andare incontro a rivolte e per questo occorreva, come si suol dire, «salvare il salvabile» di quelle organizzazioni socialiste che i fascisti si erano decisi a radere al suolo.
Tra il dire e il fare comunque si sa, c’è di mezzo parecchio, e le parole di Cagnoni furono comunque molto diverse dai fatti concreti che, dopo due anni di gestione del ragioniere, apparvero chiari: nel 1920, due anni prima dell’assalto fascista alla Federazione, si contavano ben 68 cooperative di prolduzione e lavoro; nel 1924, al termine del mandato di Cagnoni, le cooperative ancora esistenti erano cadute in una profonda crisi economica.
In ogni caso, una volta assunto il controllo della Federazione, il ragioniere romagnolo era convinto sostenitore dell’importanza centrale dell’organo che stava gestendo, tant’è che in occasione di un convegno sindacale organizzato dalla Federazione provinciale delle corporazioni, ribadì pubblicamente la necessità di mantenere centrale l’importanza del suo organo di competenza, nel quale dovevano riunirsi tutte le altre cooperative.
Cagnoni resta comunque un mero strumento nelle mani del Fascismo, che non ci pensò due volte ad estrometterlo, e nemmeno in modo graduale, dalle funzioni che ricoprì per due anni: il 28 ottobre 1924, riconoscendo la perdita di credibilità politica e personale che la sua figura stava accusando (anche la sua carriera subirà un tracollo definitivo) rassegnò le dimissioni come commissario della Federazione.
Attorno alla figura di Cagnoni ci sono parecchi interrogativi che sono ad oggi ancora irrisolti, partendo proprio dai motivi del suo isolamento politico e della sua caduta in disgrazia: parallelamente alla sua caduta, va il trionfo del fratello Andrea, dapprima consigliere comunale fascista, poi addirittura podestà. Al di là delle motivazioni concrete che portarono Pietro Cagnoni a rassegnare le dimissioni (le cronache fasciste parlano naturalmente di una scelta autonoma del romagnolo), vi è un dato di fatto che contraddistinse la sua politica e la sua dottrina, che restarono bene o male invariate nel corso dei due anni di carriera: non fu mai infatti un fascista a tutto tondo, non era un sostenitore convinto delle violenze squadriste nelle campagne come mezzo di risoluzione, e la sua posizione fu sempre molto «tiepida». Tutte caratteristiche che sembrarono non entrare in collisione con l’intero sistema fascista immediatamente nel 1922, ma solo due anni dopo: infatti, a seguito dell’omicidio del socialista Matteotti, che aveva denunciato i brogli fascisti proprio in un discorso alla Camera nel 1924 ed era stato poi ucciso dai fascisti e ritrovato solo due mesi dopo la sua scomparsa, il regime aveva deciso di selezionare accuratamente i fedeli sui quali confidare per gli anni successivi. E tra questi, la figura di Cagnoni non venne mai considerata.
 
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