Coronavirus, i primi 50 giorni letti dal sindaco De Pascale: "Personale sanitario eroico, ora al fianco delle imprese perchè l'economia non crolli"

Emilia Romagna | 11 Aprile 2020 Cronaca
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Manuel Poletti - «Non è ancora finita, per Pasqua stiamo tutti a casa, capisco che non sarà facile, ma bisogna essere responsabili, la battaglia contro il Coronavirus non è ancora vinta, anzi».
La fatica dei 50 giorni più duri del suo primo mandato li trasmette tutti (al telefono) Michele De Pascale, sindaco di Ravenna, ma impegnato anche su altri fronti: dall’associazione nazionale delle Province alla direzione della Conferenza socio-sanitaria romagnola, l’organismo politico che sovrintende l’Ausl Romagna e non solo. «Voglio ringraziare tutto il personale socio-sanitario romagnolo, si sta comportando in maniera eroica. E’ dura per tutti, ma ce la faremo».
Sindaco come sta? L’emergenza Coronavirus dai «14 giorni di quarantena» si è trasformata in una «lunga maratona» da cui la nostra società uscirà molto cambiata. Che idea si è fatto?
«Questi periodi non danno spazio a nessun tipo di lamentela. In queste circostanze insieme alla Protezione civile i sindaci sono in prima linea, ed il nostro sforzo è quello di essere all’altezza di una sfida che fino a poche settimane fa nessuno aveva immaginato dovesse affrontare. Fino ad ora la provincia di Ravenna è stata fortunata e deve essere soddisfatta del lavoro che è stato fatto, infatti abbiamo fra i dati di contagio più bassi della regione. Questo non significa che la sfida è vinta, sarebbe un errore tragico. Dobbiamo ancora impegnarci al massimo perché la curva dei contagi e dei decessi si azzeri».
Dopo 50 giorni di emergenza Covid-19 qual è lo stato di salute della sanità romagnola? E quella ravennate in particolare, dove i danni tutto sommato sono ad oggi «contenuti»?
«Le strutture sanitarie della Romagna ed il loro personale hanno dato veramente una risposta straordinaria davanti ad un’emergenza di portata enorme. In questo frangente, con quello che stiamo affrontando oggi, nella nostra provincia la scelta di difendere i 3 ospedali è stata fondamentale. Oggi abbiamo tanti posti letto generali e anche di terapia intensiva. Per il futuro portiamo con noi la consapevolezza che la sanità pubblica e la medicina territoriale siano fattori qualificanti e determinanti per la cura della persona. Penso al 118 del pronto soccorso, ai reparti di malattie infettive, aver investito in sanità pubblica con gli occhi di oggi ha significato avere piena efficienza dei servizi. Penso poi all’organizzazione dei medici di medicina genarale, alla rete dei servizi sul territorio, in Emilia-Romagna, rispetto ad altre realtà territoriali, sono sempre stati tenuti in forte considerazione ed i risultati di oggi, per nostra fortuna, lo dimostrano».
Vede ancora rischi di possibili impennate o di nuovi focolai sul territorio? Le strutture per anziani sono ancora a rischio?
«Anche sulle strutture per anziani ci sono dati positivi, nel senso che non abbiamo avuto in provincia di Ravenna nessun contagio diffuso. Di solito il rischio più grosso si è corso con persone dismesse dagli ospedali, i luoghi ad oggi più pericolosi per essere contagiati, che tornavano in casa protetta. E’ stato grazie alla bravura di alcuni operatori, che hanno riportato le persone all’ospedale, che sono stati evitati rischi di contagio più esteso, come purtroppo è successo in altre zone anche della Romagna. Ora ci sono in campo i nuclei di osservazione, che prevedono ambienti specifici per chi esce dagli ospedali, e solo dopo 14-20 giorni l’anziano torna in casa protetta».
Insieme agli operatori sanitari, almeno in Romagna, sta uscendo alla distanza un tratto sociale straordinario, che in parte conosciavamo. Donazioni, aiuti, volontariato, nuove sinergie. Se lo aspettava?
«Io ero abbastanza convinto e sicuro che ci fosse una risposta forte, ma così non immaginavo proprio. Oggi molti dei soggetti impegnati di solito in questo ambito hanno avuto più problemi, per limitazioni e risorse, così è nata una sorta di staffetta fra chi non aveva mai espresso un impegno diretto nell’ambito della solidarietà e chi invece era ed è parte del tessuto locale. Il risultato è straordinario ed è di grande sostegno ed aiuto concreto a chi ha difficioltà di vario genere: dal reperire la spesa ai servizi sociali più concreti, oltre ad un’ondata di nuovi strumenti per gli ospedali di cui oggi necessitano, grazie al contributo di molte aziende».
Anche la politica sta facendo la sua parte, più in silenzio del solito. Stato, Regione, Comuni: qualche fibrillazione anche in Emilia Romagna c’è. Come sta andando?
«Penso che nessuno oggi può avere l’arroganza di sostenere che sarebbe riuscito a fare meglio di quello che si sta facendo sia a livello nazionale che regionale. Ci deve essere questo riconoscimento anche verso il governo Conte, aldilà delle singole operazioni, una comunità oggi si unisce di fronte a queste situazioni e non fa polemica. Non capisco come possa la Lombardia lamentarsi del governo o alcuni sindaci che polemizzano con la Regione. Oggi si deve stare uniti ed agire per il bene della collettività, poi ci sarà il tempo dei bilanci, anche a livello politico, ma solo ad emergenza finita».
Dopo il dramma sanitario, con migliaia di morti anche in Emilia-Romagna, l’altra emergenza è quella economica, forse ancora più devastante. Agricoltura, turismo (Ravenna deserta per Pasqua fa male), spettacoli e cultura in Romagna sono i più colpiti. Le piccole e medie imprese sono già allo stremo. Sono adeguate le misure straordinarie del Governo?
«Dobbiamo comprendere che siamo di fronte a situazioni diverse. Prima di tutto dobbiamo far lavorare in sicurezza chi non si è mai fermato, chi fa parte delle filiere “essenziali”. Poi la fase 2, prima di partire, dovrà garantire la sicurezza dei lavoratori anche per quelle attività che riapriranno. Ravenna è una città portuale ed ha una ricchissima filiera agroalimentare: per tutte queste attività produttive, che vanno riaperte il prima possibile, servono presidi di sicurezza. Per turismo, commercio, cultura, spettacoli servirà più tempo e si rischierà comunque di riaprire con forti limitazioni. Anche per questi soggetti servirà un intervento statale eccezionale. L’assessore regionale Corsini ha posto giustamente il tema dei bonus vacanze, è la strada giusta, spero che il ministro Franceschini ne tenga conto».
Dopo il «bazooka» da 400 miliardi del Governo Conte tramite il decreto «liquidità», adesso tocca al sistema bancario fare la propria parte. Le risorse passano dalla loro burocrazia. E’ d’accordo?
«Alle banche è richiesto un grande sforzo in questo momento, sono certo che il mondo del credito saprà rispondere in maniera adeguata, anche sul nostro territorio. Il robustissimo “decreto liquidità” da un tweet di un ministro dovrà trasformarsi in un mare di pratiche bancarie, teniamone conto soprattuto per i tempi di realizzazione, ma sono fiducioso».
Lei è sempre stato molto attento al mondo degli studenti, i primi costretti a stare chiusi in casa. L’orizzonte per loro non è molto incoraggiante (le scuole probabilmente non riapriranno). Pensate a qualche servizio particolare?
«Mi preoccupa molto il tema del digital divide, abbiamo famiglie che hanno tanti figli e nessun pc e altre che hanno situazioni opposte. Tutti devono accedere alla teledidattica. La Regione ha messo 5 milioni di euro su questo tema. Noi abbiamo offerto strumentazioni per chi aveva necessità urgente. Più in generale i Comuni, in questo ambito, possono avere un ruolo importante. Difficile invece pensare alla riapertura dell’anno scolastico, dovremo ragionare a nuove soluzioni sul fronte degli spazi anche per l’anno 2020-21».
Anche il ruolo dell’informazione, pure quella locale, è sembrata più «essenziale» del solito in questa vicenda. Che impressione si è fatto?
«Dai quotidiani ai periodici cartacei fino alle testate web locali, questa vicenda ha abbattuto ogni dubbio sul ruolo importantissimo che l’informazione locale ha per i cittadini. Devo sottolineare con piacere che i giornalisti stanno usando grande senso etico, si è dato più spazio alle informazioni di servizio e agli approfondimenti di qualità che alle polemiche sterili, credo che in tanti si siano accorti di questo fattore».
Infine, in questa tragica vicenda mondiale, chi non è ancora apparso all’altezza è l’Europa. Lei cosa si aspetta nelle prossime settimane?
«Se l’Europa non è in grado di affrontare questa emergenza in maniera unitaria e solidale, segna la sua fine. La sostanza è che se i governi europei rispondono con egoismo distruggono i popoli, e questa dei nazionalismi rischia di essere una malattia endemica più pericolosa del coronavirus. Rispetto al motto “Uniti nella diversità”, l’Europa oggi deve dimostrare soprattutto la prima parte». 
 
 
 
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