Carlotta Ragazzini, 21 anni, da Faenza alla Nazionale di tennistavolo: «Quando gioco mi sento al posto giusto»

Emilia Romagna | 10 Aprile 2022 Lab 25
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Jessica Gonelli - Carlotta Ragazzini, classe 2001, vive a Faenza o almeno questo è quello che dice la sua carta di identità. Infatti, nonostante un problema alla colonna vertebrale che le impedisce una completa mobilità, da 6 anni gioca a tennistavolo nella Nazionale paralimpica. Trascorre la maggior parte del tempo a Lignano per allenarsi e partecipa a tornei in giro per l’Europa e non solo. Ma Carlotta non è solo un’atleta: si è diplomata al liceo classico nel 2020 e ora studia Lettere moderne presso l’università di Bologna. Insomma, a solo vent’anni, si destreggia tra carriera agonista e universitaria e ha già portato a casa diversi titoli, come quello di Campionessa italiana e Campionessa europea giovanile. Ecco come si racconta a Lab25.
Partiamo dalle basi: Carlotta come hai iniziato a giocare a tennistavolo?
«In realtà ho iniziato un po’ per caso, nel 2016, quando ero in riabilitazione a Montecatone dopo un intervento alla colonna vertebrale. Una sera ho sentito il rumore delle palline venire dal piano sopra il mio e sono andata a vedere. Ho incontrato così il presidente della mia attuale società, Lo Sport è vita Onlus di Imola, che si stava allenando con altri pazienti. Poi, sempre durante il ricovero, ho conosciuto il direttore tecnico della Nazionale Tennistavolo, Alessandro Arcigli, che mi ha invitata a vedere i Campionati italiani che quell’anno si tenevano a Lignano Sabbiadoro. Ci sono andata e pian piano mi sono appassionata sempre di più, gli allenamenti si sono intensificati e col tempo sono arrivate le prime convocazioni, le prime gare e anche le prime soddisfazioni».
Infatti sei stata campionessa italiana e campionessa europea…
«Sì. Ora sono ancora Campionessa europea giovanile, ma purtroppo ho perso il titolo di Campionessa italiana, conquistato nel 2019, perché l’anno scorso non ho potuto gareggiare per problemi di salute. Spero di riprendermelo presto però».
È mancato poco anche a Tokyo 2021.
«Sì. Sempre l’anno scorso avrei dovuto partecipare alle qualificazioni per le paralimpiadi di Tokyo, ma si sono tenute nel periodo in cui sono stata male. Purtroppo è andata così, ma non mi scoraggio, la strada è ancora lunga e le possibilità sono tantissime».
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
«Tra pochissimo, a fine marzo, abbiamo un torneo internazionale in Spagna. Per me è il primo torneo serio da due anni a questa parte ed è anche uno dei tornei qualificanti per i Mondiali che si terranno il prossimo novembre a Granada. Punto a qualificarmi».
Come riesci a conciliare tutto questo con lo studio?
«È difficile e sono già consapevole di non potere stare al passo con gli altri perché il tempo materiale è poco: mi alleno al centro federale di Lignano sei ore al giorno per più di tre settimane al mese. È complicato, ma cerco sempre di concentrarmi sulle mie priorità del momento e di bilanciare il mio tempo. Bisogna trovare un equilibrio, il proprio equilibrio, che non deve essere per forza cinquanta e cinquanta, dipende dal periodo che stai vivendo e da quello che vuoi fare. In questo momento va bene così e, anche quando sono via, mi sento a casa, perché ormai noi compagni della Nazionale ci conosciamo da anni e siamo come una famiglia».
Arriva la domanda difficile: cosa significa per te il tennistavolo?
«Ho sempre detto che quando gioco mi sento al posto giusto perché mi sembra una spiegazione azzeccata per rendere quello che provo. Capita spesso di sentirsi al posto sbagliato, nel momento sbagliato o comunque di non essere convinti al cento per cento di quello che si fa. Invece quando gioco mi sento tranquilla, nel posto in cui devo essere. Non mi sento di dire, però, che è stato la mia ancora di salvezza, come dicono in molti. Sicuramente mi ha aiutata dopo la riabilitazione, ed è una parte importante della mia vita, ora la più importante, ma non è stata la mia ancora di salvezza. È una cosa che mi piace e che mi appassiona. D’altronde se non mi piacesse davvero non lo farei, perché i sacrifici ci sono e sono anche tanti, così come per tutti gli atleti, ma quando fai qualcosa che ti piace non ti pesano».
 
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