Quarto Ubu a Ermanna Montanari, che parla dei suoi progetti e di Dante

Ravenna | 11 Gennaio 2019 Cultura
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Elena Nencini
Torna sempre con gioia Ermanna Montanari «nell’orizzonte piatto della magnifica Romagna»: ha vinto il quarto Ubu come miglior attrice (sono 7 in tutto) ed è tornata alle 5 del mattino da Milano, ma la sua voce è carica di energia e dei tanti progetti che ha in questo momento con Marco Martinelli, compagno di vita e di lavoro.
Dagli Stati Uniti a Matera, il lavoro non manca in questo periodo?
«E’ un po’ faticoso effettivamente, ma ormai è una scelta fatta più di 40 anni fa. C’è un’ingordigia di teatro in questo periodo, siamo divisi tra gli Stati Uniti, Matera e Timisoara, dove saremo nel 2021 quando sarà capitale europea della cultura. Andiamo a fare un ulteriore sopralluogo a Matera perché non riusciamo a trovare un posto che ci ispiri: stiamo cercando un’ascensione, un luogo che ci dia la possibilità di ascendere verso l’alto. In aprile torniamo a Matera per preparare il Purgatorio che contemporaneamente si allestirà anche a Ravenna».
Quarto Ubu come «Miglior attrice» per la sua interpretazione in «Fedeli d’Amore» e «Va pensiero».
«Mi devo inchinare a questo nome “attrice”, mi sembra sempre che sia legato a persone che sanno adattarsi e incarnare le varie visioni di un’idea, di un regista. Io invece non sono questo. Io sono legata alla poetica delle Albe, dove c’è tutto un mondo complesso, che va dall’ideazione allo stare sul palco. Io non mi sento multiforme, mi adatto».
La figura di Ubu è un collegamento tra l’altro a tutti i lavori fatti su Jarry.
«L’icona di Ubu ha una grande pancia, dove è dipinto un intestino enorme che può digerire di tutto. E’ al tempo stesso una figura irriverente ed un cattivissimo re che uccide. Ubu è simbolo di tutta la contraddittorietà di quello che può essere il teatro. Noi ci siamo sempre ritenuti patafisici (la scienza delle soluzioni immaginarie per Jarry nda). È un premio importante anche dopo la scomparsa di Franco Quadri. E’ potentissimo con i suoi 64 critici italiani, crea continuamente nuove spirali. Sono contenta che abbiano vinto anche Teatro sotterraneo, una nuova generazione di attori. E’ stato un clic, un cortocircuito».
In «Fedeli d’amore» interpreta vari personaggi, dando spazio alla multiformità che la contraddistingue in molti lavori.
«Più che di personaggi si tratta di figure. Il personaggio è qualcosa di concluso, anche psicologicamente, le figure sono ‘in levare’, portano sul palco la loro contraddittorietà con la vita. E’ la multiformità all’interno di una poetica.
Lavorare con altri registi, che non siano Marco (Martinelli nda) e le Albe è molto difficile per me. Tranne come è successo con Gipi».
Dopo diversi anni che lavorate su Dante, è ancora una scoperta?
«Dante ha un’eternità incredibile. Abbiamo passato molti anni su Jarry, con i Polacchi, la patafisica è qualcosa in cui ci sentiamo immersi, ma con Dante è dal liceo che ci siamo sopra, è un fiume carsico. Oltre che sommo poeta,  è un esule. In tempi di profughi, di pellegrini che i politici non vogliono accogliere, dobbiamo pensare che ci sono molti Dante forse tra loro, in esilio. La Commedia è un’opera enorme, a cui ancora oggi ci aggrappiamo, queste enormi colonne che hanno fondato la cultura in occidente. Dante non sparirà mai».
Quali sono le difficoltà riscontrate in questi spettacoli?
«Forse la difficoltà è sempre all’inizio: quando bisogna cercare la forma. In “Fedeli d’Amore” è arrivata ad un certo punto la forma concerto dove la voce è in dialogo con la musica. Quando questo è arrivato tutto si è sciolto. E’ importante avere l’appiglio della forma che può essere  un’immagine, una parola, una luce. Ogni opera ha un proprio codice che bisogna codificare. “Fedeli” è un poemetto in versi e per me ha un ritmo poetico che sgorga da solo. Mentre “Va pensiero” ha un andamento epico sulla nostra pianura. Bisogna trovare l’armonia, esaltarla, non appiattirsi, è una forma piu difficoltosa, un teatro dentro un teatro, perchè è una sorta di affresco corale, con 40 persone in scena. Sono due spettacoli simili, ma  “Fedeli” va visto da molto vicino, “Va pensiero” da molto lontano. Sono due sorelle diverse che richiedono una forma differente».

 
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