QUARTIERE BRUXELLES | Europee, il caso Orban scuote il Ppe

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Valentina Brini (giornalista Ansa di Lugo) - Il Partito popolare europeo aumenta il pressing sul premier ungherese, Viktor Orban, per riparare ai danni della sua campagna anti-Ue in vista delle Europee. A far scattare la rivolta all'interno del più grande gruppo di centrodestra europeo, è stata l'ultima iniziativa aggressiva lanciata dal premier magiaro, fatta di cartelloni pubblicitari contro la Commissione europea e il suo presidente, Jean-Claude Juncker, anch’egli membro del Ppe. Accuse dirette all'esecutivo comunitario, reo, secondo Orban, di «non avere imparato nulla dagli orribili attacchi terroristici degli anni passati» e di volere «portare ancora più migranti in Europa». Insinuazioni prontamente rispedite al mittente da Bruxelles, che ha risposto punto per punto ad ogni addebito, affermando che la campagna del governo ungherese «distorce la verità e dipinge un'immagine oscura di un complotto segreto per guidare più immigrazione verso l'Europa». 
«Gli ungheresi – ha reagito il portavoce dell'esecutivo comunitario Margaritis Schinas - meritano fatti veri e non fiction. Non è vero che l'Ue mina la protezione delle frontiere, è l'esatto contrario. E non c'è alcun piano sui visti umanitari, gli Stati decidono fino a che punto vogliono accogliere la migrazione legale».
La sommossa nel centrodestra europeo contro Budapest ha aperto un dibattito, in verità non nuovo, nel gruppo. Il candidato di punta per le Europee, il tedesco Manfred Weber, ha lanciato un ultimatum a Orban, dettando tre condizioni che il premier ungherese dovrà rispettare «entro un mese» se non vorrà essere messo alla porta: fermi immediatamente la campagna contro Bruxelles, si scusi coi colleghi di partito, e riapra le porte all'università Ceu di George Soros, indotta a emigrare a Vienna. Ma nel Ppe i manifesti contro Jean-Claude Juncker apparsi in Ungheria sono il segno che il capo del Fidesz abbia «oltrepassato il limite».  C’è una linea rossa, si ripete tra i Popolari. E i rapporti con il leader di Budapest sono ai minimi storici, anche se tagliare il filo con lui non è una mossa che i popolari compiono a cuor leggero. La condotta di Orban getta un'ombra  su tutto il partito, e rischia di comprometterne il candidato. Anche il presidente del gruppo politico, Joseph Daul, è stato netto: «Non ho paura di questo dibattito. Ho il numero di lettere necessario per mettere all'ordine del giorno l'appartenenza di Fidesz al Ppe alla prossima assemblea».  È l'occasione anche per ribadire che Salvini e il nazionalista polacco Kaczyński «non entreranno mai nel partito, finché ne sarò presidente», come invece Orban vorrebbe. A mostrare la porta al premier ungherese è anche il commissario Ue all’Allargamento, vicepresidente del Ppe, Johannes Hahn: «Quando qualcuno, come Viktor Orban, non rispetta i valori della propria famiglia politica e, di conseguenza, non rispetta l’Ue, vale la frase: i viaggiatori non devono essere trattenuti». Secondo alcuni analisti, tuttavia, una fetta non indifferente del Ppe - fra cui Forza Italia - è orientata a non esiliare il leader di Budapest, in vista di una possibile apertura al dialogo dopo le Europee con le forze nazionaliste e sovraniste, posizionando i Popolari più a destra. Ipotesi mal digerita dal resto del partito che punta a una coalizione con i Socialisti in chiave anti-populista.
La prossima assemblea del gruppo, il 20 e 21 marzo, si preannuncia infuocata. Per formulare la proposta di espulsione ai danni di Orban, servono 7 partiti membri del Ppe, da 5 paesi. Il premier magiaro sembra avere le spalle al muro, ma come reagirà? Nel mare di polemiche di questi giorni, invece di arretrare, ha rincarato la dose, annunciando manifesti anche contro il primo vicepresidente della Commissione Ue, candidato per i Socialisti, Frans Timmermans. La strategia dell'uomo forte di Budapest, che predica apertamente i pregi della democrazia illiberale, è quella di restare nel partito, per spostarlo più a destra, insieme agli altri sovranisti d'Europa.  
 
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