Processo Cagnoni, l'imputato: "Il mio unico rimpianto è non essermi trasferito con la famiglia a Firenze anni fa. Giulia sarebbe ancora viva"

Romagna | 13 Aprile 2018 Cronaca nera
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Non sono state tanto le dichiarazioni dei testi chiamati a deporre dalla difesa, la parte interessante dell'udienza del 13 aprile del processo che vede Matteo Cagnoni accusato dell'omicidio della moglie Giulia Ballestri avvenuto il 16 settembre 2016. Gli amici di Cagnoni hanno, in sintesi, ribadito quanto già dichiarato dai testi dell'udienza del 6 aprile: Giulia e Matteo erano una coppia serena, affettuosa, complice. Matteo era disponibile, corretto, educato, mai ossessivo nè violento. Nessun amico aveva capito che i due erano in procinto di separarsi.
Le questioni più interessanti sono emerse, invece,  a fine udienza quando ha preso la parola l'imputato.
"Il mio unico, grande rimpianto è non essermi trasferito con la famiglia a Firenze nel 2010". In quell'anno, Matteo Cagnoni venne indagato poi prosciolto, dall'accusa di aver "spinto" i propri pazienti ad assueme un farmaco piuttosto che un altro per un accordo preso con le multinazionali in cambio di favori e regali. "In quell'occasione Giulia mi fu molto vicina e sono certo che mi avrebbe seguito ovunque. Io ce l'avevo coi ravennati, con quello che si diceva di me. Visto che a Firenze ho già un ambulatorio avviato, c'è la mia famiglia, ho tanti amici così come ne hanno i miei figli, ci saremmo potuti trasferire. E se così fosse stato, Giulia sarebbe ancora viva".
Ha spiazzato un po' tutti i presenti in aula con le sue dichiarazioni che il presidente della corte, Corrado Schiaretti, gli ha concesso, ancora una volta di fare.
Cagnoni, però, ha anche voluto puntualizzare due cose su altrettanti argomenti più volte emersi durante le udienze. Sia sul fatto che andasse ad escort, sia sulla sua "amicizia" con Don Giovanni Desio, ex parroco di Casalborsetti, finito in carcere nel 2014 con la pesante accusa di violenza sessuale su minori. "Desio mi fu presentato da una giornalista ravennate perchè iniziavo a tenere una rubrica sulla pelle sul Risveglio, settimanale che lui dirigeva. Ne ebbi subito una pessima impressione, sia per come vestiva, troppo casual, sia perchè era troppo capriccioso. Pensavo fosse solo un omosessuale, ma non un pedofilo. Mi interessava collaborare con la sua rivista sia per la visibilità che potevo dare al mio studio medico, sia perchè, scrivendo diversiu articoli mi sarei potuto iscrivere all'albo dei giornalisti. Ricordo che accettai a malincuore che battezzasse il mio ultimo figlo, Giorgio, ma lui mi disse ' o me lo fai fare o ti puoi scordare il tesserino da giornalista'. Era una persona che non sopportavo proprio, ma in un certo senso mi serviva". Non ha spiegato, però, come mai, nell'elenco in mano alla Colas dei contatti da chiamare nel caso fosse scattato l'allarme nell'abitazione di via Genocchi, risultasse il cellulare di Desio, visto che era una persona così sgradita a Cagnoni. Sul "fronte escort" invece, l'imputato ha precisato di essere stato fedele alla moglie fino all'estate 2015, quando la relazione andò in crisi. "Giulia non voleva più avere rapporti, era spesso latitante e io mi occupavo a tempo pieno dei bambini. Un mese prima della sua morte avevo intrecciato una relazione con una ragazza, una massaggiatrice, insegnante di fitness con cui 'respiravo una boccata d'ossigeno' in un periodo davvero difficile per me. Ma non si trattava di una escort. Non ho nulla contro l'amore mercenario, ma credo di potermi ancora permettere di conquistare una donna senza doverla pagare. Avevo amici che organizzavano viaggi in Germania per trovare piacevole compagnia, ma io non vi ho mai partecipato".
La chiamata all'amico e la Chrysler nera
In merito alla testimonianza di Luca Ferranti, amico di Cagnoni, che nella scorsa udienza ha dichiarato in aula che con l'imputato e le rispettive famiglie si sarebbero dovuti vedere a cena il 17 settembre 2016, ma Cagnoni aveva disdetto il 16 settembre spiegando che i suoi genitori sarebbero venuti in visita a Ravenna, il pm Cristina D'Aniello, messaggi whatsap alla mano, ha mostrato come i due amici si fossero scritti il 14 settembre per pianificare l'incontro. Poi Ferranti, non avendo evidentemente ricevuto conferme ha scritto un messaggio a Cagnoni alle 13,58 del 16 settembre chiedendogli notizie della cena. Alle 15, Cagnoni risponde lapidario "arrivano i miei, dobbiamo rimandare". Il telepass sulla sua Mercedes, però, ha registrato l'ingresso in autostrada dal casello di Ravenna alle 14,01 del 16 settembre nonchè l'uscita a Barberino del Mugello alle 15. Quindi l'imputato, quando risponde all'amico, sta arrivando a Firenze e sta andando dai suoi genitori, non il contrario. Per quanto riguarda la Chrysler nera che le telecamere del Comune riprendono transitare in zona via Alberoni il giorno successivo la morte di Giulia, il pm ha accertato che sono 5 le Chrysler del modello e dello specifico colore di quella di Cagnoni, immatricolate a Ravenna. Ma nessuno degli altri 4 proprietari, interpellati dalla Procura, era a Ravenna quel giorno. Nel suo interrogatorio Cagnoni ha negato di essere tornato a Ravenna il 17 settembre, ma ha dichiarato di essere rimasto dal 16 al 19 settembre a Firenze.
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