Pietro «Quinzàn» Bandini al primo «Lõn ad Mêrz»: «Cantì, balì, burdel!»
Federico Savini
«Alla fine degli anni ’80 se lo chiedeva Mingardi e me lo son domandato anch’io. Ma perché la musica dialettale della nostra regione deve essere per forza goliardica, stupidina o demenziale? Perché non possiamo concepirla e trattarla come una cosa seria?». Nasce da questa riflessione - estendibile a molti campi dello scibile tradizionale romagnolo - l’intuizione che ha portato il coltivatore faentino Pietro Bandini ad assumere l’alter ego cantautorale dialettale di Quinzàn, come l’azienda agricola di cui è titolare sulla primissima collina di Castel Raniero. Pietro «Quinzàn» Bandini è il protagonista della prima serata dell’edizione 2019 dei «Lõn ad Mêrz», il calendario dei lunedì di marzo che la Filodrammatica Berton e l’Istituto Friedrich Schürr dedicano all’approfondimento delle tematiche dialettali, al teatro dei Filodrammatici.
E lunedì 4 marzo, alle 20.30, protagonista della serata «Cantì, balì, burdel: Treb ad musica e ciacar» sarà Pietro «Quinzàn» Bandini, coinvolto a vario titolo (a cominciare dalla recente pubblicazione omonima di un suo cd corredato dal libro illustrato da Marilena Benini) e soprattutto traghettatore delle tradizioni musicali nostrane in una modernità che sa ancora guardare alle radici con il rispetto vero di chi appunto non vuole abbandonarle e vederle ricoprirsi di polvere. «Sarà una sorta di trebbo musicale - spiega Pietro -, con Mario Gurioli insieme a me sul palco e le mie canzoni, che presenterà in scena con tutta la band di quattro elementi».
Parlerete anche del libro che hai fatto con Marilena Benini?
«Lo stiamo presentando in giro da mesi e gli dedicheremo uno spazio. La collaborazione nacque da un’intuizione di Antonella Rambaldi che voleva in qualche modo antologizzare la mia produzione più vicina al mondo della canzone per bambini, corredata dalle illustrazioni di Marilena che, in effetti, si sono rivelate adattissime alla musica e hanno convinto anche Mauro Gurioli a pubblicare volume e cd con le sue edizioni Tempo al Libro».
Quando hai cominciato a cantare in dialetto romagnolo la cosa suonava esotica, polverosa o proprio fuori dal mondo?
«Erano gli anni ’80 ed era un momento di passaggio per quel tipo di tradizione, che non è mai stata centralissima negli studi sul folklore romagnolo. Ad ogni modo era naturale avere riferimenti, sulla canzone, in tutta la regione e penso alla scuola bolognese di Dino Sarti, che proprio allora era definitivamente sfumata, e all’esperienza pionieristica di Andrea Mingardi, che proprio allora stava passando all’italiano. Ma la sua intuizione sul dialetto della nostra regione mi risuonava in testa. Erano anche gli anni della world music e di un grande riscoperta del folk. Io in particolare venivo dal rock, che all’inizio addirittura cantavo in inglese, e fu naturale appassionarmi alla musica folk dell’area britannica, che appunto del rock è radice. Ma avevo anche il baluardo di Pino Daniele, che partendo dal napoletano aveva fatto cose strepitose e molto serie, con solo occasionali brani goliardici. Noi eravamo in grande ritardo».
Come arrivasti al dialetto?
«Per gradi, perché la mossa successiva fu andare a ritroso nella musica popolare romagnola. Quando pubblicai il mio primo disco, nel ’92, era quasi tutto cantato in italiano ma c’erano anche due brani dialettali. Uno si chiamava Zèngan, ed è il primo che ho scritto, mentre l’altro era Oi burdela, sigla di un programma radio di Giuliano Bettoli. Il disco successivo, però, era già praticamente tutto in dialetto, e da lì sono andato avanti»
Venendo alle canzoni romagnole per bambini, hanno peculiarità proprie?
«Sulle canzoni per bambini, che peraltro in Romagna sono tantissime, vale un po’ quello che vale per le favole e la musica in generale, cioè che si tratta di materiale popolare rinvenibile anche in altre regioni, in particolare del centro-nord. Ad esempio Il grillo e la formica è molto conosciuta, mentre credevo che Martino e Mariâna fosse romagnolissima, invece una signora friulana mi ha detto che la madre gliela cantava sempre da bambina. Ancora più delle favole e delle dirindine, la musica popolare ha la caratteristica di viaggiare insieme ai suonatori ambulanti e i cantastorie che la portano in giro».
Hai nuovi dischi in arrivo?
«Purtroppo nulla nell’immediato. Le idee sono tante, tantissime, ma mi piace curarle bene e per questo occorre tempo».