Samuele Staffa
«Usiamo grano tenero, ma teniamo duro». Se la pandemia ha semplicemente spostato gli orizzonti dalla horeca alla gdo, senza tuttavia mettere a rischio i fatturati, le conseguenze dovute alle tensioni internazionali sconvolgono i piani di chi, come Giampiero Aresu, presidente della Linea Alimentare Aresu, orbita nel settore dei prodotti da forno. Dall'azienda di via Bagnarolo a Massa Lombarda arrivano Fagolosi: i conosciutissimi grissini del marchio Grissin Bon che, tra conflitto e speculazioni nel mercato dei cereali, rischiano di diventare un poco più salati più salati.
Anche se è presto per cantar vittoria, i numeri di questi giorni testimoniano un allentamento importante della morsa dovuta al Covid. Come avete vissuto questi due anni?
«Durante la pandemia tutto ha funzionato a dovere. Ci siamo impegnati molto e i risultati sono arrivati. Quello che è mancato nell'ambito della ristorazione, di fatto ferma per due anni, è arrivato dalla distribuzione moderna. Così il fatturato dello scorso anno è in linea, se non addirittura migliore, con quello degli anni precedenti. Di questo dobbiamo essere orgogliosi. Le nostre dipendenti (Linea alimentare Aresu impiega una trentina di persone, in particolare donne, nda) sono state bravissime ed estremamente attente. Purtroppo, nel corso dell'ultima ondata di gennaio e febbraio, complice la forte diffusione del virus tra i ragazzi che frequentano le scuole, abbiamo 'rotto gli argini' ed un poco sofferto. Ma in poche settimane siamo tornati alla nostra piena capacità produttiva».
Poi è arrivata la guerra... Dal caro energia alle difficoltà nel reperire cereali, cosa vi preoccupa di più?
«Le preoccupazioni non riguardano tanto l'approvvigionamento delle materie prime. Per molte aziende questo costituisce un serio problema, ma noi siamo riusciti a fare in modo che non lo sia. La difficoltà, invece, risiede nel costo delle materie prime: parlo del grano e dell'olio extravergine di oliva. Usiamo farine italiane, ricavate principalmente da grani delle nostre zone: ma anche questi prodotti di alta qualità, che poco hanno a che vedere con l'Ucraina, hanno subito rincari molto importanti. Chi è abituato a lavorare col grano straniero, non trovandone più, rincorre quello italiano: la domanda aumenta e i prezzi, di conseguenza, lievitano. Tutto è collegato ed anche noi ne paghiamo le conseguenze. Qui ci siamo 'impantanati' e non è facile intravedere una soluzione».
Una batosta se pensiamo ai ricavi del 2022...
«Oggi lavoriamo in perdita: uno scenario improponibile per chi vuole fare impresa. Viviamo alla giornata, 'teniamo botta' e speriamo che questa situazione cambi velocemente. Certo, il nostro primo pensiero va alle persone che si trovano sotto le bombe. Ma la crisi internazionale viene cavalcata dagli speculatori: non è possibile che, a fronte delle tensioni internazionali, vi sia un immediato e indiscriminato rincaro di tutti i beni a tutti i livelli. Purtroppo, le aspettative per i prossimi mesi non sono molto incoraggianti. La semina 2022 è fortemente pregiudicata dalla situazione internazionale ed i prezzi sono destinati a mantenere questi livelli per molti mesi».
Cosa si augura per i prossimi mesi?
«Mi auguro che vi possa essere una inversione di tendenza, ma le possibilità, almeno nel breve periodo, sono poche. Tutte le aziende alimentari italiane che producono sostitutivi del pane vivono tutte le stesse difficoltà. Finché i prezzi conosceranno piccoli rincari, i consumatori continueranno ad acquistare i prodotti che sono abituati a mettere in tavola. Quando i rincari saranno inevitabilmente più sensibili, le persone modificheranno le loro abitudini e vi sarà un calo dei consumi. I problemi, in altre parole, potrebbero aumentare. Ma teniamo duro. Speriamo innanzitutto che torni una vera pace. Non solo la guerra, ma anche il suo spettro è sufficiente a destabilizzare i mercati e ad aprire il campo alle speculazioni».