La storia del «Cinema Venturini» di Lugo raccontata in un libro da Gloriana, discendente di Don Evaristo

Bassa Romagna | 08 Ottobre 2017 Cultura
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Federico Savini

«Non ho conosciuto nessuna delle persone di cui parlo nel libro, il coinvolgimento quindi non era particolarmente passionale e ho cercato di essere analitica, ma la storia in sé meritava il racconto, anche perché nello sfondo ci la crescita della città di Lugo e anni importanti della storia d’Italia». Gloriana Venturini è milanese, a Lugo passava solo come tappa per arrivare al mare, perché in quella città era rimasto ancora qualche parente e di un particolare s’è mantenuto vivo il ricordo. Parliamo di quel Don Evaristo Venturini che in città ha gestito per anni il Cinema Venturini, titolo che libro che Gloriana Venturini ha appena pubblicato per L’Arcolaio e che lunedì 9, alle 21, presenterà all’Ala d’Oro insieme a Paolo Gagliardi, che ha curato la mostra che del libro è concretissima appendice (vedi box).

«Per essere un racconto storico documentato diciamo che Cinema Venturini è in parte romanzato – spiega l’autrice -. Questo perché a fare da cornice alla vicenda, oltre a raccontare dell’operatore Brunaso, personaggio conosciutissimo a Lugo che mi permette di raccontare del cinema anche dopo la morte del fratello di mio nonno e fino agli anni ’90, ho inserito una parte in cui mi rivolgo a un nipote per spiegargli l’importanza di tramandare la memoria e raccontare il passato».

E nello specifico com’è scattata la voglia di raccontare Don Venturini e il suo cinema?

«Da un ritrovamento fortuito: una cassetta di lettere che documentano una lunga causa tra la mia famiglia e la Curia per un testamento conteso. E il testamento riguardava proprio la sala del Venturini, andata poi alla chiesa. Contattando la biblioteca Trisi e l’archivio storico di Lugo ho cominciato a mettere insieme i pezzi di una storia meritevole, che ha avuto un grande impatto anche sulla città di Lugo».

Una storia che però è anche di famiglia.

«Certo, una famiglia assai particolare, originaria proprio di Lugo, dove rimasero a vivere Don Evaristo e la sorella. Due dei fratelli del sacerdote erano anarchici dichiarati e schedati, mentre il terzo fratello fece il legionario a Fiume. Insomma, credo che in casa le discussioni fossero accese…».

Di Don Evaristo si racconta che fosse molto fuori dagli schemi. E’ così?

«Giudichi lei: quando ancora stava coi genitori aveva imbastito un piccolo cinema casalingo e, una volta chiamato a fare il parroco a Lugo, prese subito in gestione un piccolo cinema, gestito da un’associazione Cattolica ma ormai prossimo all’inevitabile chiusura. Nel 1910 comprò un politeama che ristrutturò alla fine della Grande Guerra. Don Evaristo si occupò con grande trasporto degli aspetti sociali, più che di quelli spirituali, legati al suo ruolo. Organizzò scuole serali per lavoratori, una fanfara, una biblioteca circolante e una squadra ginnica. Durante la guerra la sala cinematografica fu usata come convalescenziario».

Era molto grande?

«Si parla di 950 posti. Era un cinema grandissimo, affrescato e lussuoso, ma rimase sempre un luogo popolare, aperto a tutti. Inizialmente Don Evaristo andava in bicicletta fino a Bologna a prendere le pizze dei film. Aprì anche un’arena all’aperto, sempre a Lugo, da un migliaio di posti, a cavallo tra le due guerre. E poi lavorò a una tenuta agricola da 130 ettari. Oltre a tutto questo, è praticamente accertato che avesse un’amante. Si può ben dire che abbia avuto una vita ricca».

E com’è morto?

«Verso la fine della guerra il cinema venne colpito da una granata e lui era lì in quel momento. Poi la storia del Venturini è proseguita e ha segnato la vita di tanti lughesi. Il palazzo esiste tuttora e raccontare la storia di quella sala mi ha permesso di tratteggiare anche un quadro più ampio, quello della vita in Bassa Romagna dalla fine dell’800 fino alla seconda guerra mondiale».

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