IL TESSITORE DEL VENTO | Il latte versato

Emilia Romagna | 21 Febbraio 2019 Blog Settesere
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Guido Tampieri - L’ipocrisia, ha scritto il teologo liberale Reinhold Neibhur, è il frutto inevitabile dei giudizi molto semplici. Ma anche, aggiungiamo noi, l’evitabile espressione di meno innocenti calcoli, dell’insincerità e della simulazione elette a criterio di relazione con gli altri. Di un modo di essere persone e cittadini. E di fare politica.
In Istituzioni e Associazioni. Di chi è la colpa se il legno di cui siamo fatti è storto? E cosa possiamo fare per raddrizzarlo un po’? Ieri le arance sotto i cingoli dei trattori, oggi il latte sulle strade.
Ieri un’Europa piccola, le frontiere chiuse, i prezzi agricoli assistiti, in Italia governava la Dc, c’era il caporalato e l’Aima ritirava il prodotto in eccesso da un mercato che non lo prendeva, come il mare in burrasca respinge l’acqua di un fiume in piena.
Oggi l’Europa è più grande, ha aperto le frontiere ai prodotti degli altri per poter uscire coi suoi, ha accresciuto le opportunità commerciali al suo interno, per chi sa coglierle, ha messo tetti alla produzione, per scongiurare eccedenze che si ritorcono contro chi le fa, la Dc non c’è più e gli sfruttati dai mercanti di braccia ora sono neri.
Tutto è cambiato, produciamo meno di quanto consumiamo, eppure siamo sempre a rincorrere crisi: quando ci sono vincoli, come le quote del latte bovino non le rispettiamo, quando non ci sono ci suicidiamo. Producendo più di quel che riusciamo a vendere. Col risultato di deprimere i prezzi più di quanto, per il valore svilito che attribuiamo al cibo, già ordinariamente non siano. Così gli agricoltori soffrono, i sistemi territoriali vacillano, e noi paghiamo. Paghiamo come cittadini, con le tasse, quel che come consumatori non riconosciamo all’ agricoltura col prezzo.
Paghiamo per lasciare le cose come stanno, per puntellare la costruzione, non per metterla in sicurezza. Fino alla prossima scossa. E alle prossime elezioni. Quando un uomo della provvidenza accorre in soccorso. A veder quel latte versato piange il cuore.
A sentire le reazioni urla la ragione. Parole logore, inutili, fuorvianti. Cosa c’entra l’Ue con i trascurati problemi fitosanitari dell’olivicoltura pugliese? Cosa c’entra l’Europa con una produzione di pecorino eccessiva? Come si è arrivati a questo punto? Questo Governo, così attento a Sanremo, in otto mesi non si è accorto di niente? E, prima ancora, il ministro Martina non poteva far niente? E il leghista Zaia? Dov’erano le organizzazioni di categoria?
Aiutare i pastori, tanto più in una regione martoriata come la Sardegna è doveroso. Ma già sono alle porte gli allevatori siciliani. Per non parlare delle pesche, che a volte non conviene raccogliere, o delle mele, ora che non trovano alternative al mercato russo.
Cosa facciamo? Questa vicenda è la metafora di un’Italia che non riesce mai a mettere i buoi davanti al carro. È l’immagine di un Governo che anziché affrontare i problemi pensa di poterli comprare. Come l’Alitalia. Non è così che usciremo dal buco in cui annaspiamo.
Certo, la concorrenza dei prodotti esteri è forte, a volte sleale, ci sono le agromafie (controllate da italiani) e tutto il resto, ma poi bisogna andare al dunque e, arrivati lì, provare a saltare. Un fossato profondo.
Due sono i problemi da affrontare per collocare sul mercato a prezzi remunerativi le produzioni agricole di qualità che non possono reggere una competizione di costo. Il primo lo dobbiamo risolvere assieme, Istituzioni e cittadini, riconoscendo la reale natura delle contraddizioni e assumendoci le responsabilità di comporle in un progetto comune.
È un impegno enorme, perché ha a che vedere con le ragioni strutturali di una crisi sempre più simile a un declino. È una missione che richiede più concordia, più Europa e anche più verità. I redditi sono bassi.
Per mille cause, interne e internazionali, che questa politica politicante non affronta, e per cento colpe, variamente distribuite. Questo cedimento del motore dei consumi ha non solo ristretto ma modificato il mercato interno, a discapito della qualità. La maggior parte dei consumatori vuole spendere poco, un po’ perché da più importanza ad altre cose, molto perché ha poco da spendere. La distribuzione commerciale si adegua a questa condizione improntando la sua offerta al criterio della convenienza.
Il treno dei consumi interni, in buona sostanza, muove in una direzione che non coincide con le aspettative della nostra agricoltura. Non ho niente contro i 780 euro se vanno a chi ha bisogno, ma con quelli, come con un salario da lavoro di 1.200 euro, è più facile che si compri olio marocchino che non extravergine italiano da 12 euro al litro. È una questione che non si risolve domattina. Come l’occupazione, la stabilità del lavoro, i salari...
Inutile stracciarsi le vesti, sospirare sui mulini bianchi, fare sceneggiate in tv, incolpare questo e quello o il mondo intero. C’è poco da blaterare e molto da fare. Il secondo problema, amici agricoltori, lo dovete risolvere voi. Riguarda l’organizzazione dell’offerta, le politiche e gli strumenti per accompagnare il prodotto dal cancello della vostra azienda agli scaffali dove nel lo acquistiamo. Io frequento i mercati contadini ma non compro tutto lì. E certo, a Ravenna, non ci trovo il pecorino sardo, che mi piace anche se non é a chilometro zero.
In questi anni non tutto quello che si è detto e fatto ha giovato a un’agricoltura  che all’inizio del secolo scorso esportava in tutto il mondo dalle pesche in Germania ai fiori in Russia, alle anguille di Comacchio a NewYork, in quelle bellissime confezioni con lo stemma del Comune. Vicino e lontano non sono, nel nostro caso, concetti antitetici ma complementari. Abbiamo appena concluso un accordo con la Cina (esecrata quando esporta e benedetto quando importa) per le arance.
Che il buon Dio ha fatto nascere in quel Paese. Dove oggi ritornano a chilometro 10.000. I fattori competitivi sono quelli di sempre: qualità, prezzo, organizzazione. Quando quest’ultima difetta è lì che devi intervenire. No puoi sopperirvi generalizzando suggestive formule di corto raggio che però frenano la vitalità imprenditoriale e contrapponendo all’esigenza di costruire una cooperazione competitiva fra i soggetti della filiera velleitari disegni pan sindacali. Vabbè l’ingiustizia planetaria, l’Europa matrigna, l’industria vorace, la distribuzione insensibile...
Ma intanto si potrebbe cominciare dall’inizio. Da quello che è necessario fare. Che è possibile fare. Che alcuni, qua e là, Istituzioni e produttori, stanno facendo. Poi, forse, anche il ciel ti aiuta.
 
Ps. Se noi siamo quello che mangiamo, come mai siamo così cattivi?
 
 
 
 
 
 
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