Il nuovo romanzo di Carlo Lucarelli è ambientato nell’Italia dell’8 Settembre e delle leggi razziali

Bassa Romagna | 01 Ottobre 2018 Cultura
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Federico Savini
«Anche quando l’obiettivo è scrivere un giallo, una storia in fondo “piccola”, è chiaro che la scelta del luogo e del tempo in cui ambientarlo, con una seria ricerca alle spalle, non solo condiziona la scrittura, ma fa emergere legami con il presente di quello stesso paese. E, insomma, dalle vicende dell’8 Settembre si può capire molto dell’Italia di oggi». Nel titolare il suo nuovissimo romanzo Peccato mortale, Carlo Lucarelli allude alle origini di uno dei suoi personaggi più amati, il commissario De Luca, ma non c’è dubbio che un titolo simile nel quadro di una storia ambientata nella più complessa fase della Guerra in Italia, quella che precede l’armistizio, fra leggi razziali, fascismo che mostrava il suo volto peggiore e i problemi della quotidianità nelle città bombardate, sia piuttosto evocativo di per sé.
Il quinto volume delle avventure del commissario lucarelliano arriva a molti anni dalla trilogia che lo consacrò ma a poca distanza da quell’ Intrigo Italiano che ne raccontava le ultime vicende in un’Italia pienamente uscita dal conflitto, e anzi alle prese con le ombre della Guerra Fredda. Con Peccato Mortale il giallista di Mordano compie un balzo all’indietro, riavvolgendo le lancette del tempo fino al 1943.
«Il periodo fra il 25 luglio e l’8 settembre di quell’anno – dice Lucarelli – è molto complesso e pieno di contraddizioni, ancora poco conosciuto dagli italiani e per questo meritevole di approfondimento».
Intende in particolare il periodo che precede l’armistizio?
«Sì, soprattutto quello perché il “post” 8 settembre è stato raccontato anche in film importanti come Tutti a casa. C’è da dire, però, che l’immaginario collettivo che abbiamo oggi sull’8 settembre non è particolarmente attendibile, specie per la fase immediatamente precedente. In quei mesi cambia tutto ma in realtà non cambia niente: formalmente il fascismo è caduto ma restano in vigore le sue leggi, la polizia spara per strada, c’è la censura e le leggi razziali mostrano il loro vero volto».
E’ lo stesso periodo in cui il commissario De Luca compie il suo «Peccato mortale»…
«Sì, è una sorta di peccato originale. Con il romanzo precedente pensavo di avere chiuso un ciclo, perché ho finalmente capito chi era il commissario e cosa sarebbe diventato. Il fatto che abbia vita propria è la ragione per cui continuo a scrivere di De Luca. Però, proprio perché ora conoscevo il suo destino, la curiosità è diventata quella di scoprire le origini del personaggio. E nella turbolenta fase tra il 25 luglio e l’8 settembre del ’43 si sviluppa un giallo in piena regola che racconta molto della personalità del commissario De Luca».
Nel libro si parla molto delle leggi razziali e del perché siano state accettate su larga scala. Che risposta si è dato?
«È una delle tante contraddizioni di quel periodo, una faccenda tipicamente italiana. Le leggi razziali esistevano già da alcuni anni ma nella sostanza venivano disattese dagli italiani, che le sentivano lontane, quindi le accettarono senza protestare anche se non le condividevano davvero. Quando però in Italia arrivano le SS e il razzismo mostra il suo vero volto ci sono delle reazioni, ad esempio i bolognesi nascondono tanti ebrei e non consegnano le liste, attuano una prima forma di resistenza passiva. La primigenia accettazione di quelle leggi ha a che fare con il conformismo, che ha radici storiche profonde. Da questa vicenda si dovrebbe trarre la lezione che non ci possiamo permettere antipatie. Inizialmente gli italiani accettarono l’idea che gli stranieri fossero diversi perché in una prima fase questo non comportava stravolgimenti nella vita quotidiana. Non c’era un vero accanimento, da parte degli italiani, contro gli ebrei. Però si accettarono quelle leggi e così il razzismo, passo dopo passo, si è concretizzato con l’occupazione tedesca. Il conformismo ha permesso la graduale penetrazione, e accettazione, di quei crimini».
C’è per caso qualche riferimento all’Europa, nel parlare dell’8 Settembre? Intendo il fatto di non aver chiara la propria collocazione geografico-politica...
«Non in modo diretto, perché di Europa in realtà si ragionava anche allora, ma erano discorsi per pochi, da intellettuali, mentre la gente era alle prese coi problemi quotidiani della guerra. Volevo mettere in scena quello che succedeva, come l’ho desunto dalla lettura dei giornali e dalle foto, con le scritte sui muri che erano sì contro Mussolini ma non erano rivendicazioni politiche, piuttosto sfoghi. In quei confusi mesi, in Italia, non c’è un’esplosione di antifascismo, quella arriverà poi, con la Resistenza. Dopo vent’anni di fascismo alla gente interessava come procurarsi il pane e avere notizie dei figli e dei genitori al fronte. Il mio focus era quindi sulle persone normali e anche il commissario De Luca non ha un pensiero politico. Detto questo, non c’è dubbio che lo studio di quel periodo fa capire molto del nostro essere italiani oggi».
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