I primi 5 anni dell'Ausl Romagna, il dg Tonini: «Prossimità dei servizi e più investimenti»

Romagna | 02 Marzo 2019 Cronaca
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Manuel Poletti - «La sanità romagnola è di alta qualità, nonostante le risorse pubbliche non siano in una fase espansiva. L’Ausl Romagna è nata non per tagliare ma per utilizzare meglio le risorse a disposizione ed è quello che stiamo applicando. Specializzazione e prossimità dei servizi sono le due direttrici che seguiamo. Stiamo facendo tanti investimenti rilevanti».
Compie 5 anni (è nata il primo gennaio 2014) l’Ausl Romagna, che vanta numeri da capogiro, unica in Italia per dimensione: circa 20mila persone che ci lavorano, viene coperto un territorio di 5mila kmq e quasi 1,2 milioni d’utenti, per oltre 70 Comuni. Fusione a freddo di 4 Ausl o no, il primo bilancio ufficiale lo fa in questa intervista il direttore generale Marcello Tonini, nominato nel febbraio 2015.
Direttore Tonini, il sistema pubblico sanitario è sottofinanziato. La sanità romagnola è ancora una delle migliori in Italia, ma quanto potrà durare? Ci rivolgeremo sempre più verso strutture private?
«Parto confermando la qualità della sanità romagnola attraverso il dato della ‘fedeltà’ dei cittadini alle strutture, pubbliche e private, che insistono su questo territorio. Fatto cento il numero di ricoveri di cittadini romagnoli, quasi 92 di questi vengono effettuati nelle strutture del territorio. Si tratta del dato più alto in regione e tra i più alti in Italia. Significa che i nostri ospedali e più in generale le nostre strutture sanitarie non solo sono di buona qualità ma sono anche ben percepite dai nostri concittadini. Rispetto al tema del finanziamento del Sistema sanitario nazionale pubblico dico subito che per il mio ruolo, che è tecnico, mi occupo di fare il meglio possibile con le risorse che mi vengono assegnate dal livello istituzionale. Chiarito questo possiamo senz’altro dire che le risorse a disposizione non sono certo in una fase espansiva. Questo, insieme all’invecchiamento della popolazione che fa aumentare le patologie croniche, e alla scarsità di figure mediche sul mercato del lavoro, sta mettendo in crisi il Sistema sanitario pubblico. Rispetto a queste dinamiche stiamo mettendo in campo tutte le modalità per ottimizzare le risorse, anche umane, a disposizione, attraverso modelli organizzativi nuovi e la revisione continua della spesa. Quest’ultimo aspetto non significa tagliare, su questo vorrei essere chiaro. Significa piuttosto controllare minuziosamente e continuamente la spesa, razionalizzare e gestire i processi, soprattutto sulle partite più importanti come ad esempio la spesa farmaceutica e sull’appropriatezza delle prestazioni. Tutto ciò nell’ottica di fornire servizi pubblici efficaci e rispondenti ai reali bisogni di salute della popolazione. Il privato resta un alleato importante di cui non si potrà certo fare a meno in futuro, e col quale si potrà sicuramente lavorare bene insieme nella chiarezza dei rapporti: con il pubblico cioè che commissiona le prestazioni che servono ai cittadini all’interno di budget predefiniti e concordati».
L’Ausl Romagna aveva due obiettivi fondamentali, dai quali ci si è un po’ troppo allontanati nei primi 5 anni di vita: il primo, creare economie di scala per garantire il massimo di prossimità possibile dei servizi. Non sempre è così, a che punto siamo?
«Intanto sfatiamo una volta per tutte la diceria che l’Ausl Romagna sia nata per risparmiare. Diciamo semmai che è nata per utilizzare meglio le risorse. Per quanto riguarda la prossimità delle prestazioni, in primo luogo abbiamo seguito quando indicato dalle normative: il Decreto Balduzzi e le leggi regionali, che individuano le strutture da attivare sul territorio rispetto ai bacini d’utenza. In seguito, in tutti gli atti ufficiali dell’Azienda (l’atto aziendale, l’assetto organizzativo, le linee d’indirizzo per il riordino ospedaliero) abbiamo chiarito meglio possibile che ci siamo mossi secondo due direttrici: la specializzazione e, appunto, la prossimità. Rispetto a quest’ultima il grande tema del futuro, come ho detto anche prima, è la cronicità. Fornire cioè servizi di presa in carico complessiva della popolazione specialmente anziana, e per i bisogni di salute meno complessi, il più possibile vicino a casa. In quest’ambito stiamo sviluppando il sistema delle cure intermedie che comprende tra l’altro l’attivazione dei cosiddetti Osco (ospedali di comunità), che vanno proprio in questa direzione. Dovremo inoltre imprimere un’accelerazione, soprattutto nel ravennate e in particolare nella fascia costiera, alla realizzazione delle Case della Salute, che rappresentano il luogo ideale per dare risposte di prossimità quando possibile, come peraltro prevede anche il Piano sociale e sanitario della Regione. E comunque sfido chiunque a  venirmi a dimostrare che in questi anni si sia chiuso un qualsiasi servizio su tutto il territorio».
Il secondo obiettivo era, appunto, concentrare di volta in volta nei diversi ospedali grandi eccellenze che riguardassero patologie molto rare. Che risultati ci sono stati?
«Sempre negli atti della nostra Azienda abbiamo scritto proprio che la creazione dell’Ausl Romagna era mirata, tra l’altro, a dare risposte ai bisogni di salute di terzo livello nell’ambito della nostra azienda. E questo viene fatto puntualmente. Sul fronte oncologico, anche grazie alla stretta collaborazione con l’Irccs–Irst di Meldola, stiamo creando una rete oncologica romagnola che darà risposte complete e di grande qualità, e che completeremo con la creazione della rete delle cure palliative. Sul fronte cardiologico, ormai solo per il trapianto cardiaco i nostri pazienti devono rivolgersi a Bologna. Abbiamo centralizzato sull’ospedale di Cesena il trattamento endovascolare dello stroke (ictus) con particolare riferimento ai cittadini degli ambiti territoriali di Forlì e Rimini, ed entro l’anno saranno centralizzati anche i cittadini di Ravenna che oggi vengono inviati a Ferrara. E in ogni caso vorrei specificare che non sono poi tante le si-tuazioni che necessitano di una forte concentrazione. Una di queste, ad esempio, riguarda la chirurgia oncologica pancreatica».
In molti addetti ai lavori sostengono che sia stata una «fusione a freddo» di 4 Ausl. Il clima interno alla grande azienda è migliorato o ci sono ancora rilevanti problemi?
«Venivamo da quattro Aziende che avevano abitudini, protocolli, modi di lavorare, financo tecnologie informatiche diverse… Sono tutti elementi che da fuori non si vedono tanto che spesso si legge e si sente dire: ‘ma guarda, dopo cinque anni, non si è riusciti a fare questo e quello…’. La realtà è che la linea scelta è stata quella del confronto tra professionisti che è l’unica per rendere stabili i cambiamenti. E’ chiaro che chi era abituato a lavorare in modo diverso si è trovato in difficoltà, e può aver avuto un rifiuto, anche psicologico, a cambiare, soprattutto i professionisti più anziani. Ma, proprio perché abbiamo scelto il dialogo e non l’imposizione (o la fusione a freddo che dir si voglia…) i risultati stanno arrivando, e ne arriveranno di ancor più significativi nel medio periodo. Mi lasci ricordare che a vario titolo per l’Ausl Romagna lavorano circa ventimila persone, copriamo un territorio di cinquemila chilometri quadrati e abbiamo quasi un milione duecentomila utenti, oltre 70 Comuni… E’ un grado di complessità difficile da comprendere, anche solo da immaginare. Ma ci stiamo lavorando e mi pare che le persone di buona volontà, dentro l’Azienda e a livello istituzionale, stiano avendo la meglio rispetto a chi fa resistenze solo per farle. Io sono ottimista».
Oltre al progetto del nuovo ospedale di Cesena, ci saranno altri investimenti rilevanti sulla sanità in Romagna nei prossimi 5 anni? In provincia di Ravenna quali?
«In primo luogo vorrei rimarcate l’eccezionalità della realizzazione di un nuovo ospedale quale quello di Cesena. A parte questo, cito solo le cose principali per non annoiare. A Rimini stiamo completando il Dipartimento di Emergenza Accettazione (Dea) che sta di fatto diventando il ‘nuovo ospedale di Rimini’: nei prossimi mesi sarà inaugurato l’ultimo piano in cui trasferiremo tutti i servizi del dipartimento ‘Materno infantile’. A Forlì attendiamo il nuovo Pronto Soccorso, in modo da dare risposta più adeguata ai pazienti. Per il Ravennate di esempi glie ne faccio tre, uno per ogni distretto. A Faenza stiamo ultimando il nuovo pronto soccorso, taglio del nastro nei prossimi mesi, e di qui a poco partirà un importante programma di manutenzione complessiva e innovamento logistico per tutto l’ospedale, finanziato dalla Regione per diversi milioni di euro. A Lugo stiamo ricostruendo il cosiddetto padiglione D dove saranno ubicati Dialisi, Oculitica, Otorino ed Endoscopia digestiva. Inoltre completeremo nei prossimi mesi l’ultima parte dei lavori che riguarda il trasferimento della Radiologia d’urgenza nei locali adiacenti gli ambulatori del Pronto soccorso e in prospettiva vi è il progetto di ristrutturazione della Rianimazione. A Ravenna mi voglio concentrare sul rilancio della parte clinica, in campo oncologico, cardiologico, trapiantologico. Sul fronte oncoematologico abbiamo superato brillantemente la visita ispettiva dell’Aifa mirata a svolgere al ‘Santa Maria delle Croci’ sperimentazioni di Fase 1: arruolamento di pazienti che utilizzeranno farmaci innovativi a livello internazionale. A livello cardiologico, in singergia col gruppo Villa Maria Cecilia di Cotignola saranno effettuate procedure innovative, denominate Tavi, per la sostituzione della valvola aortica con metodo chirurgico mininvasivo, dando risposta a tutti i pazienti romagnoli. Infine la rete trapiantologica romagnola, coordinata dal direttore dell’Ematologia di Ravenna, ha conseguito una importante certificazione dell’Unione Europea per il trapianto autologo; sempre a Ravenna è stato trattato con trapianto autologo il primo paziente affetto da sclerosi multipla».
 
 
 
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