Faenza, incursioni tra sapore e storia, ecco sua maestà il «Castrato»

Romagna | 18 Maggio 2019 Le vie del gusto
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Tenero, saporito e autentica bandiera di romagnolità a tavola, il Castrato è tra le carni più tipiche della Romagna e fa parte dell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali. Il nome, in dialetto romagnolo «e Castrè», indica la carne fresca ottenuta da ovini maschi con 5-9 mesi di età e un peso tra 40 e 80 kg sottoposti al processo di castrazione. La presenza di questa carne in Romagna risale al tempo dei Romani. Nonostante la diffusione dei suini nella Pianura Padana, infatti, i concittadini di Giulio Cesare mantennero la tradizione mediterranea dell’allevamento ovino durante la loro permanenza in questa regione. La netta separazione tra usi alimentari introdotte dai Romani e quelli delle popolazioni padane divenne ancora più marcata nel Medio Evo con l’arrivo dei Longobardi, che si fermarono a Bologna. La Romagna, il cui nome fu coniato proprio in questo periodo, rimase all’interno dei territori bizantini: qui, a differenza dell’Emilia, le carni di maiale hanno continuato da allora ad accompagnarsi a quelle di pecora e, in particolare, di Castrato. La presenza di agnelli al pascolo sul territorio ravennate tra l’inizio del XIV secolo e la fine del XVI è documentata negli Statuti di Ravenna: un soldo di Ravenna era la tassa da pagare al Massaro del comune «per ogni pecora, montone, capra, becco e castrato» che entrasse nel territorio da settembre a febbraio.
In questo periodo il «Castrone» era tra le carni utilizzate per la preparazione di banchetti e pranzi di rappresentanza, come riporta nel suo libro di cucina Messisbugo (1559). In Bassa Romagna l’uso della carne ovina si è mantenuto anche successivamente poiché le aree di pianura erano la meta invernale dei pastori appenninici che trasferivano lì le loro greggi e spesso compensavano l’ospitalità delle famiglie locali cedendo uno o più agnelli. Nel corso del Novecento la diffusione del Castrato è a poco a poco diminuita. Se l’almanacco ravennate del 1956 testimonia la presenza di ben 16.000 capi ovini nel territorio provinciale, già all’inizio degli anni ‘70 il numero si era ridotto a 6.000 capi. A tavola il Castrato esprime il meglio di sé in diverse preparazioni: tra le ricette pubblicate da Pellegrino Artusi nel libro «La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene» spiccano quelle del cosciotto o della spalla di Castrato in casseruola (due varianti) e della lombata di Castrato ripiena. Le braciole di Castrato ai ferri rimangono però ancora oggi la preparazione più diffusa e amata in Romagna. Un’occasione speciale per gustare questa carne morbida e succulenta lungo la Strada della Romagna è la Sagra del Castrato di Fossolo a Faenza, nata nel 1973 come Festa del Passatore prima di prendere l’attuale nome. Quest’anno l’appuntamento è dal 16 al 20 maggio, mentre a Bagnara di Romagna un analogo appuntamento si è tenuto alla fine di aprile.
Cosa abbinare nel calice a un buon Castrato alla griglia? Una bottiglia di Romagna Doc Sangiovese Superiore è sicuramente un’ottima scelta. Il suggerimento di giornata è il Centurione della cantina Stefano Ferrucci di Castel Bolognese: un Sangiovese dai profumi intensi e persistenti di marasca e viola e con un sapore pieno e asciutto che ben si accompagna al sapore e alla morbidezza del Castrato.
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