Elezioni, il direttore Manuel Poletti:"serve un voto che fermi populisti e neofascisti

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Manuel Poletti - Andare a votare è un diritto ed un dovere. Mai come questa volta, da parecchi anni, il voto di domenica 4 marzo per l’elezione del nuovo Parlamento assume un’importanza rilevante, visti e sentiti i forti venti di destra estrema che tirano anche in Italia. Slogan populisti e atti neofascisti hanno caratterizzato buona parte di una campagna elettorale che si ricorderà più per questi fatti e per le promesse mirabolanti di alcuni politici, che per i confronti diretti fra leader (inesistenti) o per le idee che dovranno dare maggior slancio al nostro Paese, dopo l’uscita dalla crisi sotto la guida dei governi targati Pd.
Certo la legge elettorale non aiuta, anzi, i tecnicismi del «Rosatellum» favoriscono «il nulla di fatto», determineranno a fatica una maggioranza omogenea parlamentare sia alla Camera che al Senato. A questo punto non serve recriminare o «rosicare» sulla vittoria del «No» al Referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Quel treno è passato, la lancetta della politica italiana purtroppo è tornata indietro di almeno trent’anni, ed abbiamo imparato in questi ultimi due mesi a riassaporare il sapore stantio del proporzionale, fatto più di retropassaggi che di lanci per fare goal.
Certo l’Italia, e ancor di più l’Emilia Romagna, che va al voto domenica 4 marzo, è molto diversa da quella del 2013. Oggi c’è un Paese che, grazie ai governi sostenuti dal centrosinistra a trazione Pd, è uscito dalla recessione più pesante dal Dopoguerra. Gli aiuti della Bce guidata da Mario Draghi ed alcune riforme coraggiose dei governi Renzi e Gentiloni hanno rimesso in moto buona parte del Paese, riportando anche l’Italia nel Club dei migliori d’Europa, allontanando ma non scongiurando le grinfie tecnocratiche dell’Ue dai nostri conti. Il debito pubblico, esploso negli anni ’80 e ’90, rimane la zavorra più pesante da «sopportare» per il futuro, oltre ad un rilancio completo dell’economia, che è ripartita a macchia di leopardo, come raccontano i dati dell’Istat, con un centro-nord a buoni ritmi ed un sud che purtroppo arranca ancora.
L’offerta politica che si presenta è molto diversa: il centrodestra parte favorito a livello nazionale, ma con una coalizione eterogena questa volta spostata molto a destra rispetto alle edizioni passate. La promessa della Flat Tax non pare credibile per un ceto medio che soffre molto più del passato. Assieme a questo ci sono le spinte populiste e neofasciste che impregnano la politica della Lega e di Fratelli d’Italia, fatta di slogan contro i migranti.
I 5 Stelle, «orfani» di Beppe Grillo in campagna elettorale, hanno già azzardato la formazione di un governo, ma il loro difetto più riconoscibile appare la mancanza di un progetto politico credibile, senza giravolte di 360 gradi su temi come l’Europa, gli immigrati, il lavoro e tanto altro.
L’offerta più accettabile, al netto delle antipatie (sempre di più) e critiche che può destare il segretario del Pd Matteo Renzi, appare quella del centrosinistra; «i 100 passi» concreti da fare in avanti dopo quelli già effettuati negli ultimi 5 anni sembrano un sforzo anche programmatico di medio periodo in buona parte apprezzabile. Sul risultato del Pd (più le 3 liste civiche, due delle quali faticheranno a superare l’1%) pesa come un macigno la scissione avvenuta un anno fa, per colpe equamente divise fra renziani e bersaniani (semplificando molto).
Il neo partito di sinistra Liberi e Uguali (Grasso, D’Alema, Bersani, Boldrini, Errani per capirci), con la vigente legge elettorale, rischia solo d’indebolire la coalizione del centrosinistra. In Romagna questa formazione può fare un discreto risultato, nel ravennate c’è stato molto far play fra i candidati Pd e Vasco Errani in campo per Leu. L’ex governatore infatti, essendo candidato anche al proporzionale, non ha esasperato il confronto in termini di presenza e anche di toni.
Il rischio reale è che esca dalle urne un sistema bloccato, con un Gentiloni bis pronto a continuare il lavoro iniziato poco più di un anno fa, in attesa di una nuova legge elettorale. Con gli slogan che si sono sentiti in questi ultimi mesi, potrebbe essere anche la soluzione migliore…
*Direttore Setteserequi
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