Dieci anni dopo "Laboratorio Faenza", Morini guarda al 2020: "Pd troppo debole e il civismo da solo non basta"

Romagna | 22 Marzo 2019 Politica
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Manuel Poletti - «Fu un’esperienza bella, faticosa ed entusiasmante, oggi irripetibile. C’erano partiti solidi e un Pd forte, oggi è il contrario…».
Imprenditore ed ex presidente della Fondazione Cassa del Monte, Alberto Morini fu il deux ex machina di «Laboratorio Faenza», associazione che scombinò il quadro politico locale, in vista delle elezioni amministrative del 2010. Oggi torna a parlare di politica locale, ad un anno dalle elezioni comunali a Faenza.
Alberto Morini, circa 10 anni fa nasceva grazie al suo determinante apporto «Laboratorio Faenza», che rimescolò le carte della politica faentina. Da lì partì il rinnovamento della classe dirigente locale, con la vittoria di Giovanni Malpezzi prima alle primarie del Pd nel 2009, poi alle elezioni amministrative del 2010. Che ricordo ha di quell'esperienza?
«Il ricordo è di una esperienza bella, faticosa ed entusiasmante, ma vi è anche la consapevolezza di una cosa irripetibile e figlia di un contesto che in termini politici è lontano quanto un’era geologica. C’erano partiti solidi e qui a Faenza un Pd forte che teneva il dissenso fuori dalla porta. Oggi si può dire tutto tranne che si sia in presenza di partiti granitici, si può forse parlare di leader apparentemente forti, ma che l’esperienza insegna essere fragili meteore».
Per le elezioni amministrative del 2020 è necessario ripetere in qualche modo un'esperienza «civica» del genere? Perché?
«Può essere, ma il 2020 è domani. Non costruisci in così poco tempo un soggetto civico autonomo che ambisca da solo a contendere una città di oltre 50.000 abitanti. Non ci riescono nemmeno i partiti tradizionali, a maggior ragione oggi dove la situazione è ancor più frastagliata di ieri, con partitini e liste che decidono le proprie strategie nella cucina di casa. Il contributo di soggetti civici è quindi sicuramente importante, ma il punto è capire se c’è un valore aggiunto o un saldo a zero».
In città intanto sono nate altre associazioni con obiettivi politici: «Faenza4020» e «Faenza Futuro». Cosa ne pensa?
«Mi sembra normale e credo sia positivo, ma non funziona se sono spin-off in attesa di improbabili traini nazionali o aree di uno stesso partito le cui anime non si parlano: tatticismi che gli elettori capiscono molto bene. Il rischio è che il saldo, appunto, rimanga a zero. Dieci anni fa l’allora Pd alla fine accettò l’idea di mettersi in casa una dote in parte non sua che lo fece vincere con grande forza. Oggi è il Pd che è debole: in assenza di un riferimento forte e catalizzatore di altri ambiti di elaborazione una coalizione rischia di essere un bel convoglio senza locomotiva. Qualche settimana fa ho partecipato ad una riunione con una trentina di persone desiderose di impegnarsi nella politica locale, una cosa bellissima, ma se manca l’interlocutore baricentro di un’area politica questo diventa un problema, a meno che non si sia così forti e determinati da sostituirvisi…».
Che giudizio ha maturato in questi anni del governo della città, guidato dal suo «amico» Giovanni Malpezzi? Pregi e difetti…
«Giovanni Malpezzi ha guidato con equilibrio la città sicuramente negli anni più difficili degli ultimi decenni. Aggiungo che Giovanni Malpezzi è una persona onesta e di questi tempi già questo non è poco. Ciò detto non è un segreto che abbiamo avuto motivi di dissenso, probabilmente frutto di una visione della città e della politica diverse».
Infine, lei è andato a votare alle primarie del Pd? Cosa pensa del nuovo segretario Zingaretti? Che effetto provocherà a Faenza?
«Non ho votato, ero all’estero. Zingaretti credo risponda ad un desiderio di normalità e che possa far parlare meno il Pd di se stesso e più di quello che c’è fuori. Qui a Faenza spero serva invece proprio al contrario, a ridargli la parola. E’ auspicabile emerga un segnale che certifichi il fatto che le primarie un sommovimento, piaccia o no, lo hanno decretato, aprendo il campo per un’area politica più ampia e determinando anche una discontinuità. Ma non di facciata. Immagino che per tal uni oggi il problema sia la figura del segretario, ricordo che in dieci anni ne sono stati immolati già quattro. Non è abbastanza? Forse è il caso di non partire da lì, ma di chi gli sta attorno e porsi prima il tema di un’unità che non c’è mai stata. In mancanza nessuna, tra le persone autorevoli e che possono trainare il Pd ad interloquire con la città, accetterà mai di impegnarvisi, tranne controfigure di qualche filiera alternativa all’attuale, e non si andrebbe molto lontano a meno che il tema non sia il corto futuro politico di qualche singolo. Ma qui è in gioco molto di più: un idea di città, di sviluppo, di comunità se non anche la salvaguardia di diritti. Ed è soprattutto su questo che è arrivato il segnale dalle primarie e il desiderio di partecipare che emerge dai più giovani».
 
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