Eclettismo e spunti contemporanei per il «Premio Faenza»

Faenza | 26 Giugno 2015 Cultura
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Sandro Bassi
Quasi 130 opere di altrettanti artisti provenienti da oltre 50 diverse nazioni compongono la mostra che rappresenta l’esito del 59° Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea (Premio Faenza); mostra che inaugura al Mic di Faenza venerdì 26 alle 18.30.
Come sempre, e forse come inevitabile che sia, i commenti sono i più disparati, andando dal solito snobismo del faentino con la puzza sotto al naso che si diverte a dir male del «suo» museo, fino al delirante consenso verso tutto ciò che ha il pregio/difetto di non essere immediatamente comprensibile. «Ma lo dice la parola stessa - spiega la direttrice Claudia Casali - : il concorso è di ceramica d’arte contemporanea e quindi nella giuria, selezionando le oltre 1300 opere pervenute, abbiamo valutato e premiato l’innovazione, sia da un punto di vista tecnico sia per la poetica».
«La ceramica di oggi si contamina con altre forme d’arte - aggiunge Daniela Lotta, storica dell’arte e del design all’Isia e componente della giuria - e quindi anche in questa rassegna sono emersi gli accostamenti con la fotografia, la video-art o la ricerca di nuovi materiali».
In effetti basta guardare il primo premio (per la sezione sopra i 40 anni), vinto dalla genovese Silvia Celeste Calcagno: una sorta di immenso intarsio di 2000 tessere ceramiche con immagini fotografiche stampate sopra e abbinate a un sonoro; la poetica è quella dell’intimità femminile (...brandelli di corpo sfiorati dall’acqua, la sensualità, i capelli e le mani... - spiega l’autrice - una nenia, pregna di rabbia, alla vita») e il risultato è un’installazione complessa, carica di significati simbolici e allegorici.
Il premio «sotto» i quarant’anni è stato invece vinto dall’austriaca Helene Kirchmair con Bobbles, una composizione di tre bolle tutta basata sul raffinato rivestimento delle superfici, che pare velluto, buccia d’arancia, licheni oppure pollini o batteri ingranditi al microscopio: arriva comunque a trasmettere sensazioni visive e tattili davvero inusitate; stesso premio è stato vinto a pari merito dallo statunitense Thomas Stollar con 1900 Steps, un lavoro in terracotta e legno non certo ispirato a criteri di bellezza o coerenza formale ma di matrice concettuale: il percorso quotidiano da casa allo studio dell’autore è stato convertito tramite sistema Gps in un serpentone ripiegato su se stesso.
Il problema - se così vogliamo chiamarlo - è che alcune opere parlano da sole mentre altre richiedono un «disvelamento semantico» (te le devono spiegare, insomma). Tutti capiscono la carica inquietante dell’opera di Monika Grycko, polacca faentina d’adozione, con un cerbiatto umanoide alimentato da poppe artificiali (sotto tre tavolini) e che guarda un prato su un monitor, metafora dello snaturamento che la modernità ci impone; tutti percepiscono la delicatezza delle barchette di Fosca Boggi, faentina, sospese nell’aria con la leggerezza di un origami giapponese; tutti possono apprezzare la potente ironia di Terra pintada, installazione sarda dove su seggioline d’asilo sono fissati gli strumenti del futuro mestiere di quei bambini (una tiara da vescovo, un’incudine, una chiave inglese....). Sarà difficile invece che uno spettatore sappia decrittare da solo i pur magnifici decori di Giulio Mannino (cesenate, premio in memoria di Valter Dal Pane) che scaturiscono dal disegno tracciato dalle vibrazioni di singole frequenze acustiche; altrettanto arduo sarà che il visitatore si infili dentro la cabina dove, parlando, vedrà la propria voce far cambiar colore ai led che accompagnano la porcellana. Poco male - si dirà -, chi non capisce si procuri il catalogo e si informi. Vero, perché poi il periodo in cui l’arte si giudicava dalla verosimiglianza è finito da oltre cent’anni.
Per finire, un cenno alla ceramica che si accompagna ad altri materiali (alla lana, al legno stravecchio, al ferro, o come nella sempre sorprendente sardo-faentina Chiara Lecca, premio Assemblea Legislativa Emilia-Romagna, alla vescica di bue!) o che li imita. L’opera più emblematica in tal senso è The Eartherware Ferrari, della belga Ann Van Hoey (premio Regione E/R): una sottilissima lastra in terracotta ripiegata e rivestita da vernice per carrozzieri, a simulare la lamiera della ben nota automobile. 
 
Inaugurazione venerdì 26 alle 18.30, dopo un incontro informale con gli artisti vincitori dalle 16 in poi. Mostra aperta da martedì a domenica ore 10-19.
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