Il racconto di Cristiano Cavina sulla frana: "Casola saprà sgavagnarsela":
(Cristiano Cavina) Ho passato buona parte dei miei primi diciott’anni di vita in un campo da calcio.
Era un luogo speciale, per me e per i miei amici; era forse l’unico posto al mondo che sentivamo appartenere a noi soltanto.
E c’era solo un adulto che ti sgridava, al massimo di domenica si aggiungevano l’arbitro e quelli che venivano a vedere le partite.
A scuola c’erano i professori e i bidelli, a casa i genitori e i parenti vari. In giro per il paese c’erano i ragazzi più grandi. Un disastro. E se non ti sgridavano, semplicemente non si accorgevano di te, era come non esistere, come per le compagne di classe, per le quali eravamo trasparenti.
Dentro a un campo di calcio esistevamo eccome, era impossibile non accorgersi di noi e non prendevamo le sgridate.
Quel rettangolo di cinquanta metri per cento era stato ritagliato a nostra misura.
Adesso i ragazzi di Casola non ce l’hanno più.
Il campo è franato in fondo alla riva del fiume, anche se la parola frana non rende precisamente l’idea di cosa sia successo.
Mezzo campo sportivo è crollato letteralmente di sotto, la roccia e la terra si sono spaccate di netto e sono finite a intasare il Senio.
Quando sono andato a vedere, prima che i carabinieri e i vigili del fuoco chiudessero l’accesso a tutte le strade, non riuscivo a credere a quello che avevo sotto gli occhi.
Non è facile accettare l’idea che il mondo possa andare letteralmente a pezzi.
Magari ne senti parlare in televisione, vedi i filmati su internet, ma non è la stessa cosa.
Nessuna immagine può riprodurre artificialmente quello che senti quando ti trovi di fronte alla semplice e cieca potenza della natura.
E questa volta, è toccato al nostro campo sportivo.
Il mondo è andato a pezzi e se l’è portato via, insieme ai nuovi pali dell’illuminazione, alle panchine, agli orti e al campo di allenamento dove la sera prima stavano giocando i bambini.
Mi piace pensare che in questo la natura sia stata meno cieca del solito; mi piace pensare che il fronte di roccia che alla fine ha ceduto abbia tenuto botta qualche ora in più, rifiutandosi di crollare la sera prima.
Posso solo immaginare cosa sarebbe stato andare a cercare i ragazzi al buio, in fondo alla riva del fiume. Mi fa male anche solo pensarci.
Nel male, è andata bene così.
Però i ragazzi non hanno più quel posto speciale che, a quella età, è ritagliato su di loro.
Un luogo che non serve solo per giocarci con gli amici, ma anche a riempire la loro vita di ricordi indimenticabili. Un luogo che gli appartiene.
Mi commuove pensare a un pezzo della mia amatissima Casola perduto per sempre. E mi commuove pensare ai nostri bambini che si allenano nel campo da tennis o nel prato sopra alla caserma dei Vigili del Fuoco, dove è stato allestito un campetto provvisorio. Ma mi consola pensare che proprio in quel prato sorgeva una volta il campo sportivo della mia giovinezza. Il vecchio e glorioso «Enea Nannini», proprio di fronte alle mie case popolari. Quel campo era carico di magia; sprizzava meraviglia come una dinamo.
Sono certo che in un modo o nell’altro quella magia passerà a loro.
Come ho già scritto da qualche parte, i bambini ci sono tutti. I palloni si sono salvati.
Il resto, lo aggiusteremo un poco alla volta.
Noi siamo Made in Casola. Noi siamo gente che se l’è sempre «sgavagnata». In un modo o nell’altro.