Marco Zanotti porta la Classica Orchestra Afrobeat all’Auditorium di Roma

Bassa Romagna | 21 Novembre 2014 Cultura
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Federico Savini
«La musica popolare nel mondo è “infinita”, sia perché è ben lungi dall’essere tutta scoperta e divulgata dalle nostre parti, sia perché sta alla base del passato come del futuro. Va studiata e vissuta, e quando hai imparato a suonarla la puoi contaminare e farla andare avanti». A musica sembra veramente un oggetto «infinito», senza confini rigidi, nelle mani di Marco Zanotti, percussionista di Russi e leader della Classica Orchestra Afrobeat, il progetto più avventuroso concepito nella nostra provincia (e non solo) negli ultimi anni, del quale è appena uscito il secondo album, «Regard sur le Passe», registrato dal vivo al teatro Alighieri per il Ravenna Festival e oggi riportato sul palco dell’Auditorium Parco della Musica di Roma (niente meno), dove l’ensemble si esibirà venerdì 21, per poi suonare sabato 22 a S.Cristina della Fondazza, a Bologna.
Dopo aver omaggiato la musica di Fela Kuti con un ensemble di musica barocca, nel 2013 la Classica Orchestra Afrobeat ha coinvolto i griot africani Sekouba Bambino Diabate e Baba Sissoko in una rilettura di un disco della Bembeya Jazz National del 1969, che a sua volta si ispirava a un canto mandingo dell’800 dedicato a Samory Toure, leggendario imperatore del Mali e ultimo baluardo prima della definitiva colonizzazione dell’Africa Occidentale. Il tutto riletto con gli strumenti della musica barocca europea. «I cultori dell’afrobeat sulla carta si stupiscono per il progetto – spiega Zanotti -, temono un’operazione manierista, poco profonda. Poi però sentono l’energia della musica africana sprigionata da un arsenale di oboe, clavicembalo e viole da gamba».
E il pubblico della classica come la prende?
«Piace la disinvoltura, il ritmo che tiriamo fuori da questo organico antico, poi incuriosisce il recitar-cantando epico dei griot africani. A Perugia, per Radio3, suonammo davanti a un pubblico amante della classica e la cosa funzionò. Piace anche il fatto che improvvisiamo con quegli strumenti».
Pratica aliena alla musica classica ma non alla barocca, giusto?
«Esatto, molta musica barocca viene probabilmente da improvvisazioni trascritte. Il concetto poi di “basso continuo” è vicinissimo alla nostra idea di improvvisazione. Più la musica è antica e più viene poi da quella popolare. Nel disco suoniamo anche una passacalle proprio per dimostrare questa vicinanza, chi è abituato al barocco infatti coglie al volo un’operazione come la nostra, che ad altri può apparire di rottura».
Avete suonato l’anno scorso al grande festival di Glastonbury, mentre venerdì sarete all’Auditorium di Roma. Niente male per un progetto così complesso e teoricamente di nicchia…
«No, tra l’altro il concerto di Roma verrà poi trasmesso su Radio 3 e venerdì pomeriggio suoneremo su Radio 1, alle 14.30 nella trasmissione King Kong. E’ un progetto con grandi ambizioni, non si può negare, ed è naturale che salti la fascia media dei club per approdare invece nei festival, vedi il Ravenna Festival che ci ha sostenuto e vedi anche Glastonbury, dove siamo stati i primi italiani di sempre a suonare. Ci hanno chiamato loro, grazie alla “sponsorizzazione” che ci fa spesso Gilles Peterson, un dj della Bbc che è un punto di riferimento per la musica africana».

prosegue su setteserequi in edicola da venerdì 21 novembre


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