Silvio Orlando è «Il Mercante di Venezia» lunedì 24 a Conselice

Bassa Romagna | 24 Novembre 2014 Cultura
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Elena Nencini
Valerio Binasco è regista, ma è anche attore, infatti non solo si è trovato sul palco con un mostro sacro come Franco Branciaroli, ma ha anche recitato in alcuni film (La bestia nel cuore di Cristina Comencini, Il giorno perfetto di Ferzan Ozpetek). Ed ama portare sul palco attori italiani famosi come Ennio Fantastichini, Isabella Ferrari, Riccardo Scamarcio e ora Silvio Orlando. Sarà al Teatro comunale di Conselice a dirigere Orlando e la Popular Shakespeare Kompany in Il mercante di Venezia lunedì 24 novembre alle 21. Siamo a Venezia nel XVI secolo in una società dove il denaro muove il destino degli uomini, dove prestiti e investimenti azzardati hanno conseguenze imprevedibili. Bassanio, giovane gentiluomo veneziano, vorrebbe la mano di Porzia, ricca ereditiera di Belmonte. Per corteggiarla degnamente, chiede al suo amico Antonio, il mercante di Venezia, tremila ducati in prestito. Entra in scena l'usuraio Shylock che chiede a garanzia una libbra di carne di Antonio, ma la richiesta alla fine gli si rivolgerà contro.
Perchè ha scelto di mettere in scena «Il mercante di Venezia»? E' ancora attuale?
«Tutto è ancora attuale, l'importante è che venga recitato in modo attuale. Il mercante di Venezia è uno dei testi più complessi e controversi di Shakespeare, era un desiderio di Silvio Orlando e io volevo lavorare con lui. Mi sembrava interessante che un uomo abituato a interpretare ruoli di simpatico volesse avere un ruolo titanicamente lontano da questo. Ho pensato che si poteva dare vita a una figura diversa, un usuraio dei nostri tempi con una ferita dolorosa. Io non credo nella storia, credo che l'uomo sia sempre uguale da 5mila anni, abbiamo sempre gli stessi problemi, non penso di aggiornare Shakespeare, è già qui».
Nei panni di Shylock Silvio Orlando, come lo ha immaginato?
«Shylock è un personaggio non accogliente, che ha più ombre che luci, è difficile da amare, perché, anche se è pieno di ferite e ha il cuore pieno di paura, trasforma questi suoi sentimenti in odio e rabbia verso gli altri».
Come è lavorare con lui?
«Silvio è una figura popolare non aggressiva, capace di discrezione. Per questo mi sembrava perfetto per un cattivo che non è solo cattivo. Per restituire al personaggio una dose di umanità. È un attore che ama scoprire  cose nuove: ovviamente quando si lavora con un attore circondato da una grande fama e da una reputazione importante va condotto con molta cura. Le star richiedono una delicatezza speciale, alle volte sono persone più fragili, ma lui ha dimostrato una curiosità verso la compagnia, un'adesione, una condivisione importante e abbiamo creato insieme un personaggio lontano dallo stereotipato, devastato da un silenzio desolante. Non ha giocato sulla maschera che usa spesso dell'uomo accattivante. Ha avuto il coraggio di seguirmi e abbiamo cercato di eliminare i buoni e i cattivi, ci sono le persone più superficiali, i cristiani, che fanno un uso edonistico del denaro che incarnano i valori della superficialità allegra. Dall'altra parte un uomo triste, ferito, che viene da un mondo e da una religione arcaica. Shylock è diventato cattivo perché è stato troppo bastonato, come gli animali. Gli altri hanno un agio, una sazietà che rende facili essere buoni. Il mio spettacolo ha sposato in maniera squilibrata i toni della commedia e del gioco della favola, con pochi realismi.. Mi prendo la colpa filologica, facilmente assolta, di aver cambiato il finale».
Dalla scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova alla regia. Cosa è successo?
«Io penso che la regia sia un po' l'arte della valorizzazione della recitazione, quindi sono passato  alla regia per mettere in luce la cosa che nella vita mi è sembrata la più importante, fare l'attore, quella con cui io indago il mondo. Da regista mi piace creare la situazione per mettere in luce gli attori».
In scena ci sarà la Popular Shakespeare Kompany che lei ha fondato. Cosa significa puntare sui giovani oggi in Italia?
«Il teatro deve essere salvato dagli attori, visto che i politici, i direttori non sono più capaci di fare nulla. Gli attori sono capaci di fare le cose con niente: con un bastone si crea un mondo, con uno straccio faccio una nave. Rispondiamo allo slogan preferito di tutti “Non si può” e noi diciamo si può, se vuoi si può. Il nostro motto è “dove c'è una volontà c'è una via”. Produciamo i nostri spettacoli con cifre irrisorie, con scenografie essenziali ricavate da altri spettacoli».
Ha diretto da poco anche Ivano Marescotti ne «La fondazione». Come lo ha conosciuto?
«Adoro la provincia italiana e la sua forza propulsiva, andrebbe fatta santa subito la vostra regione per l'impegno che mette nel teatro. Ed Ivano è uno di questi esempi. Ci siamo incontrati alla fine degli anni '80 in un Amleto diretto da Cecchi dove faceva il fantasma, poi ci siamo un po' persi. E adesso l'ho diretto ne La fondazione: lui e Baldini sono una coppia perfetta, ho fatto poco per dirigerlo, l'ho solo seguito. E mi ha fatto ancora una volta dire quanto sono fiero di appartenere a quell'onda di calore che viene dalla provincia».
 
 
 
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