Bruno Canino lunedì 3 in concerto al Masini e coi ragazzi delle scuole

Faenza | 03 Novembre 2014 Cultura
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Federico Savini
«Quando hanno di fronte un musicista, i ragazzi fanno spesso domande sensatissime, da prendere molto sul serio. Le loro curiosità sono concrete e utili, sia per loro che per noi che rispondiamo. Bisogna però dire che molto, della loro curiosità, dipende da come sono stati formati e non mi riferisco solo alla scuola. Se dietro non c’è una famiglia che stimola interessi e curiosità, la scuola può fare poco». Le passioni, insomma, sono una cosa seria, e ben venga che a ribadirlo sia uno dei più grandi musicisti italiani, il pianista Bruno Canino, che lunedì 3 novembre sarà a Faenza prima per incontrare i ragazzi delle scuole alle 1 al Ridotto del teatro Masini, dove alle 21 suonerà per uno dei concerti più attesi della stagione musicale manfreda. Canino è uno dei pianisti classici più famosi al mondo, inutile dilungarsi su una carriera che s’è fatta mancare ben poco, in termini di sfide e soddisfazioni, ed è sempre un’occasione invece poterlo ascoltare. A Faenza si esibirà in solo in due sonate e in piccolo ensemble in altre tre, accompagnato da Fulvio Fiorio (flauto), Claudio Mansutti (clarinetto) e Gordana Josifova (oboe), in programma di musiche di Francis Poulenc, autore dal nome meno ingombrante rispetto ai «giganti» che tutti conoscono ma frequentissimo nei programmi concertistici della classica. «E’ un autore immediatamente riconoscibile – spiega Canino – e molto intrigante, addirittura spiritoso a tratti, per questo piace al pubblico. Però è vero che all’inizio non venne preso troppo sul serio, era in aperta polemica anti-impressionista e anti-modernista, alcuni li consideravano un mero intrattenitore, Boulez lo disprezzava. La sua musica ha sempre avuto una qualità briosa che si riscontrava anche nelle sue esibizioni al piano, posso confermarlo dato che l’ho ascoltato tanti anni fa. Poi è passato a una fase più sentimentale, addirittura tragica nella Sonata per violino dedicata a Garcia Lorca».
Cosa racconterà ai ragazzi di Faenza?
«Dipenderà molto dalle loro domande, spesso sono molto interessanti e vertono sul mestiere del musicista. C’è da dire che l’assenza dell’insegnamento della musica nelle scuole non specializzate non ci aiuta, ma esistono anche insegnanti eroici su questo piano».
A proposito del mestiere del musicista, cosa pensa di quanto accade al teatro dell’Opera di Roma?
«E’ un problema complesso, difficile da risolvere, e già oggi è sparito dalle pagine dei giornali. Ad ogni modo il mestiere del musicista ha tante particolarità ma è pure un mestiere come gli altri, con esigenze pratiche che in qualche modo hanno tutti. Certo, le orchestre italiane vantano il discutibile primato di avere corpi amministrativi e burocratici molto ampi alle spalle, e credo si debba cominciare a sfoltire da lì. In Italia c’è una distinzione molto netta tra chi insegna musica, e può quindi contare su un lavoro regolamentato con ricadute positive sull’occupazione, e chi fa il concertista, con quel che ne consegue; pro e contro insomma».
Ma è sensato che la distinzione sia così netta?
«In altri Paesi non è così e credo che i due aspetti, l’insegnamento e il suonare in orchestra, si potrebbero avvicinare. Penso che per poter insegnare sia necessaria un’esperienza da concertista».
Viene spesso a suonare in Romagna?
«Anni fa collaboravo spesso con l’Accademia Pianistica di Imola, di recente ho suonato a palazzo Fantini a Tredozio, per l’Emilia Romagna Festival. Un posto bellissimo, devo dire che ho suonato con piacere. Un piacere che non è solo gastronomico, ma indubbiamente la Romagna attrae anche sotto quell’aspetto».


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