120 opere di 80 innovatori della ceramica del ’900 al Mic

Faenza | 27 Giugno 2014 Cultura
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Sandro Bassi
La «filosofia» de «La ceramica che cambia», al Mic di Faenza da venerdì 27 giugno (inaugurazione alle 18), è chiara fin dal potentissimo esordio costituito da Arturo Martini, faro e modello fino al secondo dopoguerra (nel ’47 Martini muore improvvisamente), ma con strascichi destinati a protrarsi anche molto oltre.
Nelle intenzioni della curatrice Claudia Casali è questa l’occasione per esplorare le varie poetiche che hanno influenzato l’evoluzione della scultura ceramica del secondo Novecento e non si poteva che partire da Martini. Accanto a due monumentali terrecotte (Aviatore e La Veglia) provenienti dalla Carisbo di Bologna ed esposte l’anno scorso a Palazzo Fava, risplende pur nei risvolti inquieti il gres «impolverato» de La Zingara: una donna a seno nudo con ghigno disarmante stringe sottobraccio un agnellino mentre con l’altra mano regge un uccello che non sapresti dire se gallina o pappagallo o poiana; in questo capolavoro di metà anni ’30 c’è tutto il Martini figurativo più impressionante. A dialogare con lui sono i contemporanei Francesco Messina e Marino Marini, entrambi con due figure femminili, ma profondamente diverse: classica la Bagnante del primo e invece stilizzato, già «sporco» o comunque anticipatore delle tendenze all’astrattismo, il Piccolo nudo del secondo.
La mostra segue un filo tematico, rispettando ove possibile la cronologia ma raggruppando appunto le opere per linguaggi: e allora l’espressione figurativa che parte da Martini si sviluppa col ruralismo suadente di Aldo Ajò, con le riscoperte mitologiche del sardo Gavino Tilocca e con le rinsecchite predilezioni macabre del nostro Angelo Biancini, di cui è esposto (ripescato dagli straordinari depositi Mic) un inedito Soldati di guardia al Santo Sepolcro, del ’57. E sempre nell’ambito del figurativo si arriva ai giorni nostri, con i coccodrilli e i dormienti di Paladino, i calzoni appesi di Guido Mariani o gli ironici, compositi autoritratti di Ontani. Certo, una parentesi significativa è il picassismo, con il fanciullesco narrativo di Arrigo Visani o le violente stilizzazioni di Salvatore Cipolla; si arriverà al neoprimitivismo di Salvatore Meli o, incredibile, alle eresie di Nanni Valentini che prima di approdare alla sua ceramica terragna e brutale - ma poeticissima - si è misurato con le suggestioni picassiane (qui con Fantasie del ’56). Il discorso si dipana ulteriormente con l’informale e le sue declinazioni: ineludibile Fontana (ci sono le sfere bucate e i concetti spaziali ma anche un meraviglioso piatto del ’53 con La Corrida) e magari anche Leoncillo (il Cane policromo da prestito privato milanese è un’autentica chicca), ma la vera sorpresa è costituita dai vari Agenore Fabbri, Franco Garelli, Enrico Baj, Asger Jorn e soprattutto Roberto Bertagnin, allievo e genero di Martini presente con tre sconcertanti sculture anni ’50 (si veda Giraffa in refrattario grezzo e anzi pieno di inclusioni che hanno provocato bolliture: sono davvero difetti preziosi come gemme).
Naturalmente la lista non è finita: ci sono i mitici tori di Diato, le lastre bruciacchiate di Pianezzola, le figure d’albero di Spagnulo, le delicatissime sabbie di Lucietti, le note musicali di Recalcati. Ancora, va detto che giustamente si è utilizzato moltissimo materiale «interno», cioè proveniente dai magazzini del Mic, non solo per il costo zero, ma anche – e soprattutto – per la fragile, gigantesca bellezza dei pezzi stessi. Stupirà anche quella di autori faentini stranoti (Matteucci, Sassi, Rontini, Zauli, Tramonti, Gaeta, Panos…) eppure sempre affascinanti.
 
Fino al primo febbraio 2015. Da martedì a domenica ore 10-19. Visite guidate-aperitivo martedì alle 18.
 
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