Al Teatro Alighieri fino a domenica 8 dicembre (6, 7 dicembre ore 21 e 8 dicembre ore 15.30) lo spettacolo «Nascosto dove c'è più luce», in scena Gioele Dix - che cura anche la regia - insieme alla giovane Cecilia Delle Fratte. Realtà e desideri, responsabilità e disimpegno, emozioni del passato e progetti per il futuro sono al centro di questo spettacolo in cui l’attore milanese si ritrova sul palco in una specie di limbo.
Partiamo dal titolo come si fa a nascondersi dove c’è più luce?
«È un ossimoro, un paradosso che devo a un vecchio amico. Quando ero giovane, volevo fare lo psicanalista, lui era il mio guru e venne a vedere un spettacolo piccolino che facevo e mi disse ‘sei nato per fare questo mestiere’. E mi disse quella frase. Fu un’illuminazione. Chi fa l’attore ha un doppio binario: da una parte il desiderio di esporsi, di mettersi in gioco, dall’altro uno strano desiderio di scomparire, di invisibilità. Sei sul palco sotto i riflettori ma non racconti nulla di te. Ho sempre aspettato di avere il materiale giusto per un titolo così».
Di cosa parla questo spettacolo?
«Sono contento di tornare a Ravenna, negli ultimi anni è una piazza che non mi ha mai tradito. Dopo Dixplays, che era una raccolta di personaggi, desideravo una vera commedia originale. Racconto di un attore che si addormenta sul palco, in un’atmosfera astratta, onirica, e rimango incastrato in una specie di limbo. Qui entro in conflitto con il mio angelo custode: ed escono fuori le gioie e i dolori degli attori, la lista di cose che non ho fatto, alcune che non mi hanno fatto fare, altre perché l’ho scelto io. Per esempio, agli inizi, scelsi di non fare il fotoromanzo. Non mi piaceva. Mi dissero che avevo sbagliato, perché da una cosa piccola nasce una cosa grande, ma secondo me non è così. Da una porcata piccola nascono solo altre porcate piccole».
Quanto c’è di lei in questo spettacolo?
«E’ un punto di bilancio, non so se a metà tragitto o in qualche altro punto. E’ un’occasione per riflettere, per fare la parte che mi piace di più del lavoro di comico: ridere, ma anche far pensare. Racconto la mia vita e i miei diversi ruoli: sono stato figlio, padre, amante, sono stato lasciato e ho lasciato. Ma ci sono anche le ingiustizie, le incazzature, il salutismo, le false amicizie. Il filo dello spettacolo è l’angelo che offre, con le sue domande l’occasione per riflettere. Il finale non glielo racconto, ma è poetico, sospeso. Mi corrisponde, è una buona alchimia tra quantità di risate e pensiero serio».
prosegue su seteserequi in edicola dal 6 dicembre