Elena Nencini
Esce il 26 gennaio l'ultimo libro di Valerio Evangelisti, lo scrittore bolognese che ha conosciuto il successo con personaggi come Eymerich, Magus, Il terzo e ultimo volume de Il Sole dell'Avvenire uscirà per Mondadori Strade Blu. In questo terzo e ultimo volume de Il Sole dell’Avvenire, Valerio Evangelisti continua a seguire le vicende di alcune famiglie romagnole, attraverso i grandi cambiamenti politico-economici che investono la regione e l’Italia intera. L
Ha spaziato dal fantasy alla fantascienza, al romanzo storico, con questo ciclo di tre romanzi torna in qualche modo al suo primo amore la storia, e una storia molto vicina a lei, visto che è bolognese. Come è nata l'idea di questi libri?
«Da tempo i responsabili della collana che mi pubblica, Mondadori Strade Blu, mi chiedevano di spingermi in un genere diverso dal fantastico e dall'avventura. Ho messo a frutto i miei studi universitari, prima e dopo la laurea. La mia tesi fu sul Partito socialista rivoluzionario di Romagna, di cui scrissi per primo la storia completa (è stata ripubblicata di recente dalla casa editrice Odoya). Successivamente mi ero occupato di lotte sociali dei primi del Novecento. Ho conservato annate di giornali in microfilm, tra cui Il sole dell'avvenire di Ravenna, e molti documenti. Quando ho ceduto alle pressioni, avevo già pronto il materiale su cui basarmi».
Ha scritto nel risvolto che sarà l'ultimo libro di questa trilogia, nessun ripensamento?
«Assolutamente no. Non voglio toccare temi che riguardino la mia stessa biografia (sono nato nel 1952). Non sarei sereno e distaccato il necessario dalla materia. E poi, ne Il sole dell'avvenire, tratto di lotte, di fatiche e di conquiste grandiose. Di vittorie e di sconfitte epocali. A parte alcuni episodi, non vedo molto di paragonabile nel tempo della mia vita. Il presente, poi, lo trovo spoglio di epica e privo di spinte ideali».
In questo volume affronta il periodo dagli anni Venti alle soglie degli anni Cinquanta ha raccolto le storie di famiglia, di conoscenti? Come si è documentato per scriverlo?
«Come dico nei ringraziamenti in coda al libro, mi sono servito di memorie e di testimonianze di donne contadine e a volte partigiane, raccolte dai discendenti. Quanto alla bibliografia, veramente enorme, ho goduto dell'aiuto di amiche bibliotecarie. Mi hanno procurato testi e opuscoli difficili da reperire».
C'è sempre stata una contrapposizione tra Emilia e Romagna, lei come l'ha percepita in questi racconti?
«Secondo me, sul piano politico-sociale, la storia è stata per molti versi comune. Il Partito socialista rivoluzionario di Romagna aveva come epicentro Ravenna, ma anche Imola e Bologna. Le organizzazioni bracciantili di Molinella e Medicina agivano in sintonia con quelle del Ravennate. Penso che le fratture siano più tarde. Al momento della ricostruzione delle ferrovie nel secondo dopoguerra, per esempio, Bologna non favorì collegamenti decenti con le maggiori città romagnole. Se ne soffre ancora oggi. Io, di ascendenza sia emiliana che romagnola, non insisterei troppo sulle differenze».
Come scrive? E' un metodico oppure scrive di getto quando ha l'ispirazione?
«Sono metodico. Scrivo qualcosa ogni giorno, anche se poco. Mi rifaccio all'antico motto latino fatto proprio da Conrad: Nulla dies sine linea. L'ispirazione, se Dio vuole, non è mai venuta meno».
Prossimi progetti? Tornerà al fantasy?
«Certamente sì! Nel 2016 riapparirà Eymerich. Gli devo le mie relative fortune, non mi sento di abbandonarlo. Guai se lui abbandonasse me! E' capace di tutto».