E’ il simbolo indiscusso e riconosciuto da tutti i gourmet della Romagna nel piatto. E’ l’emblema delle azdore e della tavola. Soprattutto nei giorni di festa (Natale su tutti). E' l’opera d’arte sui generis della manualità gastronomica e del saper tirare la sfoglia: il cappelletto (e caplèt). Le prime testimonianze codificate li presentano già nel XIII secolo. Il cappelletto è a tutti gli effetti una minestra ripiena che acquista caratteristiche differenti, soprattutto nel ripieno definito anche «compenso», da zona a zona, da provincia a provincia e perfino da casa a casa. Il nome deriva dalla loro forma caratteristica che ricorda, appunto, quello della «galoza», un cappello con le ali che era indossato in campagna. In terra di Romagna ne esistono principalmente di due tipi: quelli con il ripieno costituito da farcia di soli formaggi e quelli che invece prevedono l’aggiunta di carne (petto di pollo, tacchino, lonza). La prima versione è per lo più diffusa nella bassa ravennate tra i comuni di Ravenna, Russi, Cotignola, Lugo, Bagnacavallo, Fusignano e Alfonsine, la seconda acquista maggiore diffusione in collina e più ci si avvicina all’Emilia. Questa non è però una distinzione rigida. La contaminazione infatti la si registra da tavola a tavola. Che il cappelletto in Romagna però sia una cosa seria lo afferma anche Pellegrino Artusi. Nel suo volume «La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene» la ricetta numero 7 è proprio dedicata a questa minestra. Qui il gastronomo di Forlimpopoli oltre a illustrare i diversi ingredienti necessari, (ricotta oppure metà ricotta e metà cacio raviggiolo, mezzo petto di cappone cotto nel burro, condito con sale e pepe e tritato fine, Parmigiano grattato, un uovo intero e un rosso, un odore di noce moscata, scorza di limone e un pizzico di sale) traccia anche il disco della grandezza esatta entro il quale va tagliata la sfoglia. Della serie, più pignoli di così. Un altro segreto gelosamente custodito e tramandato all'interno delle mura domestiche è quello della tecnica di chiusura della pasta ripiena. Movimenti codificati che esaltano le capacità manuali delle sfogline e che permettendo di creare questo capolavoro culinario a forma di cappello. La cottura è rigorosamente in brodo, la tradizione impone quello di cappone mentre la modernità si è lasciata «imbastardire» anche da altri tagli come manzo e pollo. Nel ravennate, vista la presenza di soli formaggi, si è soliti servirli assieme ad un saporito ragù di carne.
Dal 15 al 18 settembre a Porto Fuori la Sagra del Caplèt
Quattro giorni di festa dediicata al cappelletto. A Porto Fuori da venerdì a lunedì, nell’area sportiva di via Combattenti alleati, tutte le sere, domenica anche a pranzo, sarà possibile assaggiare questa prelibatezza della tavola romagnola. Oltre al gusto spazio anche al divertimento, alla muscia, al folclore e allo sport. Eventi e spettacoli allieteranno le serate della piccola località del litorale. Regista di questo appuntamento imperdibile per gli amanti del buon mangiare è il Comitato Sagre, formato da tutte le associazioni del paese, che per tutta la durata sarà impegnato a far conoscere e apprezzare i mitici Caplèt. Un segnale di come il cappelletto, per sua natura, unisca.