Faenza, Luigi Zaccarini lascia lo Zingarò e inzia l'avventura al Rossini
«E’ una sfida importante nella mia carriera. Una svolta che mi onora e che mi stimola in maniera professionale e umana e per la quale non posso che ringraziare la Gemos». Dopo 21 anni allo Zingarò, Luigi Zaccarini lascia la guida e la proprietà dello storico locale per intraprendere una nuova avventura al Rossini. Con il ruolo di responsabile della struttura il quarantacinquenne Zaccarini dal 22 gennaio si trova a essere filo conduttore tra la proprietà del locale affacciato su piazza del Popolo e la brigata, composta da oltre una trentina di persone.
Zaccarini approdare al Rossini è una novità e una svolta non indifferente. Quali le prime impressioni?
«Questa è un’opportunità straordinaria. Fino ad oggi il mio contributo ho sempre cercato di darlo allo Zingarò. Essere stato chiamato a poterlo fare in un altro locale storico del centro mi onora e gratifica. Adesso devo essere in grado di dimostrare che questa scelta e questa scommessa che la proprietà del locale, la Gemos, ha fatto su di me, è stata giusta. L’impegno è e sarà totale».
Che cosa intende portare in questa nuova avventura del suo passato?
«L’amore, la passione e la professionalità che ho sempre messo a servizio della clientela. Ma soprattutto dobbiamo riuscire a dare un’identità territoriale specifica all’offerta ristorativa serale. Ci saranno cambiamenti nell’offerta enogastronomica, magari con meno piatti in menù e con più territorialità. Ho sempre creduto nella Romagna e nel suo inestimabile patrimonio di prodotti e vini e su questo credo che si debba puntare visto che siamo un locale posizionato in maniera strategica nella città. Dobbiamo essere ambasciatori del gusto della nostra terra».
Con lo Zingarò è stato un pioniere sulla declinazione territoriale dell’offerta enologica. Crede che si possa replicare anche al Rossini?
«E’ uno dei punti fermi della strategia che ho in mente. Dobbiamo saper veicolare il grande valore che la tradizione vitivinicola della Romagna possiede e per questo credo sia indispensabile che il cliente che si ferma al Rossini possa trovare prodotti che rispecchiano questa identità. Del resto questa è un’impostazione che la si ritrova, felicemente, in molte regioni d’Italia. Ma non solo. Anche le materie prime nei piatti, dalla carne al pesce, credo debbano avere un’impronta romagnola ancora più marcata di quanto hanno oggi. Il Rossini ha puntato su una qualità dell’offerta che deve essere riconosciuta e per la quale cercheremo di lavorare al meglio».
Sull’offerta gastronomica quali i possibili sviluppi o cambiamenti?
«Il cibo è arte, gli chef, ne abbiamo quattro, sono gli artefici di questa straordinaria emozione esperienziale. Con loro dovremo riuscire a portare ancora più emozione nell’offerta senza fare voli pindarici ma capendo quanto potenziale c’è nel patrimonio organolettico e di prodotto che il territorio ci offre».
Le novità non saranno solo legate all’offerta da «mise en place»?
«Assolutamente no. Con progressione e con il tempo credo che il Rossini possa sposare bene anche un’offerta musicale e artistica calibrata alla location e alla clientela. Siamo nel centro di Faenza, c’è sempre movimento e noi dobbiamo sapere andare incontro, intercettare e rispondere alle esigenze dei fruitori di questo spazio urbano, magari incrementando l’interesse e la curiosità di venirsi a sedere al ristorante per gustare le prelibatezze che realizziamo, soprattutto la sera».