Faenza, la calda carezza aromatica del Bisò il vin brulè manfredo

Romagna | 30 Dicembre 2017 Le vie del gusto
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Lo si beve caldo, anzi bollente. Aiuta a riscaldare il corpo e lo spirito durante le fredde giornate d'inverno. Il vin brulè è un'istituzione in Romagna, tanto è che in terra faentina gli si dedica una grande festa in piazza la sera che anticipa l'Epifania. Qui questa bevande prende il nome di «Bisò». Al di là della sua caratteristica corroborante il Bisò trova origine nel passato, sia come rimedio naturale per alcuni malanni di stagione, sia come bevande socializzante. «Una bevanda - sottolinea il gastronomo Graziano Pozzetto - di origine ed uso popolare. Sul litorale serviva per riscaldare i marinari al rientro dalla pesca mentre nell'entroterra era bevanda preferita per accompagnare l'uccisione del maiale. C'era rito e convivialità».
Oggi cambiano gli usi ma cambiano anche gli ingredienti che vengono utilizzati per arricchire e insaporirlo. Per realizzare questo vino caldo aromatizzato l'ingrediente fondamentale è, ovviamente, il nettare di Bacco. In terra di Romagna si usa solitamente un Sangiovese che può invece diventare anche bianco in altre parti d'Italia. 
Se si dovesse proporre una ricetta ideale questa prevede l'utilizzo di un vino rosso di corpo e struttura. Qui vi si devono aggiungere, oltre allo zucchero, varie spezie che prevedono l'uso della cannella, chiodi di garofano, noce moscata, anice stellato, a cui si devono aggiungere frutti di stagione come mele, limone, arancia e mandarino.
La ricetta ufficiale prevede un litro di vino rosso, due stecche di cannella, otto chiodi di garofano, la scorza di un limone e di un’arancia, duecento grammi di zucchero, mezza noce moscata e un anice stellato. Su come vada realizzato le interpretazioni sono differenti. C'è chi sostiene che bisogna portare il miscuglio a ebollizione e poi c'è chi invece preferisce non arrivarci fermandosi poco prima. L'importante, però, è che alla fine venga servito sempre molto caldo.
Sulle origini del nome «Bisò» non c'è unanimità di vedute. C'è chi lo vuole figlio del dialetto «bì sò! (bevete, su!)» c'è chi invece lo fa risalire alla parola tedesca «bischoff (vino rosso caldo)» ma c'è chi crede che l'origine del nome si riferisca al colore dello stesso liquido che ricorda l'abito porporato di un vescovo.
L'interpretazione del brulè faentino viene servita, la sera del 5 gennaio nella grande piazza del Popolo, in tazze di ceramica create ad hoc chiamate «Gotti».
 
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