Novanta anni di poesie, Dante, libri e una grande passione per la divulgazione per Della Monica

Ravenna | 21 Marzo 2017 Cultura
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Elena Nencini
Non sono certo le 90 primavere a preoccupare Walter Della Monica infaticabile animatore della vita culturale della città, a cominciare dall’invenzione dei trebbi poetici da cui nacquero successivamente gli «Incontri letterari» del Centro relazioni culturali, che il suo ideatore continua ancora a frequentare nonostante abbia deciso da qualche anno di cedere il passo ai più giovani e di non seguire più come prima il suo «gioiello».
Del resto scherza e dice: «Eh, sono 90, ma speravo di rovesciare la cifra. La salute non mi manca è questo quello che conta». I festeggiamenti istituzionali in Comune hanno ribadito l’importanza del lavoro svolto da Della Monica in questi anni. La cultura e la sua divulgazione, la condivisione del sapere sono sempre stati al centro dei suoi pensieri, dall’esperienza del trebbo poetico nel 1956 con Toni Comello, alla creazione del Premio Guidarello nel 1972, alla nascita nel 1974, con il libraio Mario Lapucci, del Centro Relazioni Culturali e dei successivi incontri con gli autori di saggistica varia: storici, critici letterari e d’arte, giornalisti, scienziati, poeti e narratori. Poi nel 1995 la lettura integrale della Divina Commedia, eseguita da Vittorio Sermonti nella basilica di S. Francesco. Tre cantiche in tre stagioni successive. Infine nel 1998 «La Divina Commedia nel mondo», nell’ambito del «Settembre dantesco», con la partecipazione di traduttori esperti e lettori dei vari paesi. Diversi i libri scritti dallo stesso, testimonianza della sua curiosità instancabile.
Della Monica ci racconta il suo amore per Dante, la poesia e l’esperienza incredibile del trebbo con Comello.
Ha dato molto alla città di Ravenna con le sue iniziative?
«Ho solo messo a disposizione e trasferito agli altri quello che sentivo dentro di me, un interesse che avevo fin da ragazzo quando studiavo le poesie a memoria».
Come è nato l’interesse per la poesia?
«Ho sempre letto molto, da ragazzo leggevo i volumi della Scala d’oro (collana di libri classici illustrati per ragazzi edita dalla Utet di Torino nda) con accanimento. Secondo me è nata da lì la passione per la lettura e le cose letterarie. Poi grazie al Trebbo e all’incontro con Toni Comello ho avuto la possibilità di frequentare i grandi poeti, da Ungaretti a Montale, a Caproni, a Quasimodo. Avevo rapporti amichevoli con loro, si andava in giro a presentare le loro opere per tutta Italia. L’operazione di divulgazione con Toni Comello fu eccezionale, durò 5 anni e ha lasciato il segno. Se guarda nell’enciclopedia c’è la voce trebbo: questo termine romagnolo ha conquistato un posto nel dizionario italiano proprio grazie a questa operazione poetica. Ungaretti l’abbiamo frequentato molto in quegli anni veniva spesso con noi, i trebbi erano una sorta di comizi con le piazze piene dove i poeti erano osannati come divi. Mi ricordo di avere visto una foto dove si vede Ungaretti che esce frastornato per il numero di persone presenti ad uno di questi incontri. Una roba da non credere».
Fu un evento epocale quando il trebbo nacque nel 1956.
«All’epoca non si pensava che la poesia potesse rappresentare un’interesse così, ma Comello aveva delle capacità interpretative non da poco. Furono 180 i trebbi che realizzammo, dal Piemonte alla Sicilia: partimmo da Torino per chiudere al sud. Mi ricordo una foto con Diego Valeri a Catania: infatti quando potevano venivano anche i poeti.
C’era anche un appoggio diverso da parte delle istituzioni: a un trebbo al Teatro Eliseo a Roma venne anche il capo dipartimento del ministero. Venne per ascoltare Ungaretti naturalmente ma vide la validità dell’iniziativa e decise di aiutarci dandoci  un contributo per tutta la manifestazione».
Oltre all’Italia ad un certo punto siete andati anche all’estero con il trebbo. Ricorda una tappa in particolare?
«L’Olanda. Erano molto carini, si trattava di olandesi che studiavano italiano e la Società Dante Alighieri ci aiuto in questa avventura. Era un successo scontato – minimizza -  con un pubblico così interessato».
Come nacque l’idea di coinvolgere Vittorio Sermonti nella lettura della Divina Commedia per tre anni consecutivi?
«E’ stata una bella operazione. Tutte le mattine ascoltavo alla radio Sermonti che leggeva la Divina Commedia e io allora lo chiamai per fare la stessa operazione dal vivo a Ravenna. Lui accettò, e fu essenziale il contributo di Giuseppe Parrello della Calcestruzzi che tirò fuori 100 milioni di allora per tutta la Divina Commedia. Ravenna ha portato fortuna a Sermonti, perchè dopo lo hanno chiamato in tutta Italia».
Nel 2021 saranno settecento anni dalla morte di Dante. Lei che è sempre stato un appassionato del Poeta cosa pensa che si potrebbe fare?
«Mi piacciono le idee che stanno prendendo piede e mi auguro che si sviluppino sempre di più le iniziative in suo onore. Avere Dante a Ravenna è una fortuna, il numero uno della poesia italiana proprio qui.  Bisognerebbe fare molto di più: allargare la zona dantesca, includere anche il Palazzo della provincia, fare la Casa di Dante. Mi auguro che ci sia un forte impulso per la realizzazione di tante iniziative e ci si renda conto di chi abbiamo a Ravenna».
Quali sono i suoi canti preferiti della Divina Commedia?
«Paolo e Francesca è quello che sento più vicino emotivamente, oltre al fatto che è ambientato da noi. Ma anche l’ultimo del Paradiso che rappresenta la supremazia della poesia con quel “Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio”. Credo che Dante sia una presenza significativa per Ravenna che dovrebbe impegnarsi molto per il 2021 perché risulti l’interesse e l’amore da parte dei ravennati per questo poeta».
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