Monica Guerritore a Russi con «Mariti e mogli», ribolle di vita

Ravenna | 18 Marzo 2017 Cultura
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Elena Nencini
Era il 1992 quando Woody Allen girò il film Mariti e mogli interpretato da Mia Farrow, Sidney Pollack, Judy Davis, Liam Neeson, Juliette Lewis e lo stesso Allen nei panni di uno dei protagonisti. Monica Guerritore ha deciso grazie all’amica Francesca Reggiani, di portare il film sul palco dove oltre che attrice è anche regista. Sul palco del teatro comunale di Russi sabato 18 (ore 20.45) si parlerà di amore, di matrimonio, di crisi coniugali e tradimenti.
Guerritore, come mai ha scelto questo testo di Allen per trarne uno spettacolo?
«E’ stata una concomitanza, Francesca (Reggiani nda) lo aveva in testa da un po’, ma c’era già il film. Nel frattempo io ero all’Eliseo con Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman: ho legato Bergman a Allen e l’ho ritrovato nascosto in qualche modo. E l’ho sentito molto mio e più liberatorio di Bergman, il testo di Allen è più dolce, Bergman è feroce».
Lo spettacolo si ispira al film di Allen, cosa ha cambiato rispetto all’originale?
«Allen ambienta tutti i suoi film a Manhattan, ma ho dovuto spiegargli che  noi non lo possiamo fare e non lo vogliamo fare. Non amo la finzione, non possiamo fare che siamo sulla Quinta strada. Io ho bisogno di una casa che sia mia. Ho bisogno di un luogo in cui i personaggi vivano con realtà, così mi è venuto in mente il Caffe Muller di Pia Bausch e Non si uccidono così i cavalli. e così ho creato una notte piena di pioggia in un luogo che con il passare delle ore diventerà una sala da ballo, una sala d’attesa, un ristorante deserto e che costringe gli otto i personaggi  al girotondo di piccole anime che sempre insoddisfatte girano e girano intrappolate nella insoddisfazione cronica di una banale vita borghese. Bergman, Strindberg, Allen sono stati i miei riferimenti, perchè Il bagaglio dell’artista è il suo immaginario, sono i quadri, i film che hai visto, i libri che ha letto».
Il suo sguardo sul matrimonio e sull’amore è cinico come quello di Allen?
«Allen non è cinico, Bergman è cinico. Il mio sguardo è tenero, si ride con affetto. Tutti noi abbiamo detto quelle cose che dicono i protagonisti in scena, abbiamo scoperto quei tradimenti e comunque ci vogliamo bene tra di noi. Siamo li per ballare tra un pianto, una rissa e un balletto swing, perchè fuori piove tanto. E non è detto che fuori sia sempre meglio di dentro».
Con Francesca eravate amiche anche prima dello spettacolo.
«Si, è stata proprio lei a voler portare in scena Mariti e mogli, anche se c’era il problema di avere tanti personaggi in scena. Ma Francesca è il vero passepartout dello spettacolo perché il pubblico capisce subito guardandoci insieme che ci si ferisce ma poi si va avanti e si sorride».
Non solo attrice, ma anche regista, cosa le dà di più questo ruolo?
«Tutto. Più che regista mi sento drammaturga, un autore ha in mente tutto, lo svolgersi dello spettacolo. Non ho limiti, se immagino la Fallaci la penso con tutta la mia libertà di immaginazione. Così mi riparo da una creatività scarsa in questo momento, mentre io mi ribollo di vita. Ancora oggi per gli uomini è naturale rivestire anche il ruolo di regista, per una donna invece no. Ma nel mio cognome c’è già il mio destino. Mi vien spontaneo».
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