Marco Martinelli racconta il suo spettacolo «Va pensiero», al debutto all’Alighieri

Ravenna | 06 Dicembre 2017 Cultura
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Elena Nencini
Dieci personaggi per dieci storie sull’Italia che nascono da fatti di cronaca: Va pensiero è l’ultimo spettacolo di Marco Martinelli (insieme a Ermanna Montanari) al teatro Alighieri (dal 7 al 14 dicembre, ore 21, domenica ore 15.30, pausa lunedì 11). Martinelli si ispira alla realtà per raccontare come la corruzione dell’Italia di oggi abbia soppiantato gli ideali risorgimentali della musica di Giuseppe Verdi: il vigile urbano di un paesello della Bassa Romagna si fa licenziare pur di mantenere la propria integrità di fronte agli intrecci di mafia, politica e imprenditoria. In scena l’ensemble del Teatro delle Albe, il coro  lirico Alessandro Bonci di Cesena guidato da Stefano Nanni, che eseguirà arie dalle opere verdiane che si intrecciano con la musica elettronica di Marco Olivieri.
Lo spettacolo  dà una preminenza alle musiche di Verdi. Qual è l’attualità di Verdi oggi?
«L’attualità di Verdi è che l’Italia è sempre un popolo schiavo, un popolo in cattività come gli ebrei a Babilonia. Il Va pensiero infatti si ispira al salmo 137 dell’Antico testamento, il grido degli oppressi in terra straniera. L’Italia è affondata in questo pantano in cui fatica, dove non si trovano parole vere di redenzione. La corruzione di vario genere ci avvelena, ci vuole un nuovo Risorgimento. La musica di Verdi fa vibrare gli animi e insieme raccoglie chi spera, chi grida, chi combatte in un nuovo risorgimento. Ce ne siamo accorti in queste prima serate a Modena, dove il canto di Verdi ha unito tutti gli spettatori».
Partendo dalla vicenda del vigile ha aggiunto altre nove storie. Come ha concepito la regia?
«Nei primi anni del 2000 a Brescello, in provincia di Reggio Emilia, un vigile urbano, Donato Ungaro, si è opposto al malaffare della giunta e per questo è stato licenziato. Ma non ha avuto paura di perdere il lavoro, oggi ha vinto la causa e sarà rimborsato. A questa storia si alternano e intrecciano le vicende di altre nove figure, che traggono origine dalla cronaca, costituendo un affresco molto più grande. Ho creato una drammaturgia che raccontasse non solo la nostra terra, ma lingue e dialetti differenti, come romagnolo, napoletano, calabrese. Proprio perché nessuno può sentirsi escluso: la battaglia contro la corruzione deve interessare tutti».
Una storia che l’ha colpita fra queste?
«Oggi le cronache danno molto risalto ai fatti di corruzione, ai furbetti, al servilismo strisciante, una componente fondamentale degli italiani. Trovare  un semplice vigile che ascolta la voce della propria coscienza invece che quella dei potenti mi ha commosso».
C’è speranza allora?
«L’atmosfera che si respira nello spettacolo è simile a quella persente nei romanzi di Charles Dickens:  una Londra, cupa, vittoriana, ma sempre con uno spiraglio di luce. Non è un nero, un male che ti soffoca, c’è sempre la possibilità di sorpassarlo e sconfiggerlo. La musica di Verdi porta speranza, ma non solo. Ho scoperto che non è la geografia che fa l’essere umano, è il cuore che ci rende cittadini integri, corrotto è quello che ha il cuore spezzato. Lo puoi trovare in Emilia Romagna o in Sicilia, puoi trovare bellissimi italiani a tutte le latitudini. E’ stata la conferma che la vera divisione è nel nostro cuore non nello stato di residenza».

 
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