Eraldo Baldini ha indagato «Fango, fame e peste» in Romagna, con Aurora Bedeschi

Ravenna | 19 Marzo 2018 Cultura
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Federico Savini
«E’ ancora una volta uno studio storico, complesso e meticoloso, ma devo ammettere che mi ha emozionato lavorarci. Di fronte alle testimonianze di tragedie di queste proporzioni la distanza temporale non basta per rimanere indifferenti». C’è molta passione nelle parole di Eraldo Baldini, che tra pochi giorni (presumibilmente tra il 22 e il 23 marzo) tornerà in libreria con un nuovo volume della sua ormai corposa produzione saggistica. Il fango, la fame, la peste. Clima, carestie ed epidemie in Romagna nel Medioevo e in Età moderna (Il Ponte Vecchio) è stato scritto a quattro mani con la ricercatrice Aurora Bedeschi e per lo scrittore di San Pancrazio è una nuova incursione nella storia della Romagna, che va ad indagare non tanto focalizzandosi su grandi eventi ma sulla quotidianità delle popolazioni, tenendo conto soprattutto del clima e delle condizioni di vita del nostro territorio lungo i secoli. «Conosco Aurora Bedeschi dai tempi delle scuole superiori – spiega Eraldo – e su determinate materie il nostro percorso è comune. Inoltre questo libro in particolare necessitava di un lavoro enorme di ricerca, testimoniato anche dalle 300 pagine del volume. Abbiamo lavorato su fonti che spaziano in oltre 1.200 anni: archivi, cronache, ma anche dati testimoniali, demografici, ambientali ed epidemiologici…».
Non solo la «peste», dunque, che è un «evento» a tutti gli effetti, ma anche «fame», «fango» e «clima». Quale direttiva storiografica avete seguito?
«Proprio quella, abbastanza recente, di non sottovalutare questi aspetti ambientali, che a dispetto delle vecchie storiografie hanno segnato eccome i territori e le loro vicende. Il rapporto di una popolazione con il suo ambiente è sempre complesso e rivelatorio. Significa occuparsi della vita quotidiana come degli eventi eccezionali, ma non per questo unici o rari. Il clima non è un semplice “scenario” ma piuttosto un “attore” tanto nelle calamità quanto nelle linee di tendenza. Condiziona le disponibilità alimentari e l’incidenza delle malattie».
Che periodo avete indagato?
«Dalla fine dell’Impero Romano fino alla peste del 1672, che praticamente non tocca la Romagna, che aveva sviluppato buone difese. Dalla crisi alimentare della guerra tra Goti e Bizantini del VI secolo, che a Rimini portò addirittura al cannibalismo, fino alla terribile peste nera del 1348 e alla «Piccola età glaciale» che infierì perlomeno dalla metà del Cinquecento, arrivando alla peste di manzoniana memoria del 1630 e alle epidemie di tifo petecchiale e vaiolo, ma anche il “mal francese” e la sifilide. Naturalmente le epidemie non si esauriscono affatto: l’800 è l’epoca del colera, ma ci sono questioni aperte sulla peste».
Ad esempio?
«Ricerche recentissime hanno messo in discussione la classica teoria sulla peste che dai topi si trasmette all’uomo attraverso le pulci. Non che questa dinamica sia sbagliata, ma probabilmente il meccanismo era ancora più subdolo, tanto che la peste del 1348 stermina la metà della popolazione europea e viaggiava a una velocità enorme, di 70 km al giorno, difficile da attribuire in esclusiva a quel veicolo di contagio».
E poi ci sono le testimonianze…
«Sì, le pagine più intense e sconvolgenti. Cerchiamo di ricostruire lo spaccato di una terra in cui i flagelli si sommavano. Clima, alimentazione ed epidemie a volte convivevano anche con la guerra e calamità naturali. Il quadro è terribile».
Qual è il ruolo dell’agricoltura in questo contesto?
«La Romagna come terra fertile è relativamente recente. Fino al 1700 il regime idrografico era disastroso, tra inondazioni, paludi e frane. Il passaggio più critico è da un’economia silvo-pastorale ad una agricola, basata sulla cerealicoltura. Basando tutto sul raccolto, le popolazioni erano davvero nelle mani del clima, che fu spesso impietoso».
L’attualità di questi temi?
«Studiare le interrelazioni fra tutte queste cose, considerando quanto cambiamenti climatici significativi ma meno pesanti di quelli attuali abbiano condizionato l’esistenza dei popoli, vale come un memento mori, tanto più in un’epoca in cui si è anche tornati a discutere sui vaccini».
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