​Due intense giornate di suoni e spiritualità con il Darbar Festival

Ravenna | 23 Giugno 2017 Spettacoli
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«L’India presenta lo spettacolo meraviglioso della coscienza ancora viva del mondo antico, con una varietà di esperienze emozionali raramente accessibile a chi sia coinvolto nelle attività di sovrapproduzione e intimorito dall’insicurezza economica di un ordine sociale fondato sulla competizione». Usano queste ficcantissime parole del critico d’arte Ananda K. Coomaraswamy gli organizzatori del Ravenna Festival, per sintetizzare le ragioni di quella fascinazione antica e sempre almeno un po’ insondata che gli occidentali hanno nei confronti dell’India, della sua cultura e del suo misticismo. A differenza di quanto accaduto in altri paesi asiatici, nel caso indiano il media musicale ha avuto un notevole successo in termini di «esportazione», grazie anche a quei musicisti - Beatles in testa - che negli anni ’60 cominciarono ad abbeverarsi alla fonte musicale del raga, la musica indiana certamente «tradizionale» che però sarebbe bene considerare alla stregua della nostra musica «colta» (e il lungo fraintendimento tra i due ambiti la dice lunga sull’eurocentrismo di cui siamo tanto spesso vittime inconsapevoli).

Ad ogni modo il matrimonio del Ravenna Festival con l’India si concretizza nella tre giorni ravennate del festival britannico Darbar, che giovedì 22 ha proposto una memorabile «Escape into Night Ragas» concertistica negli spazi mozzafiato di San Vitale.

Il Darbar, nato in Inghilterra nel 2006 per favorire la continuità tra i maestri della musica classica indiana nati nelle colonie dell’impero britannico e quelli giovani nati sul suolo inglese, prosegue a Ravenna il 23 e 24 giugno. Venerdì 23 si parte alle 10 alla sala Corelli del teatro Alighieri con una lezione dimostrativa di rudra veena e con lo hatha yoga alle 17.30. Alle 21, sul palco dell’Alighieri, doppio concerto «Epic Ragas», con Manjusha Patil Kulkarni prima (insieme a Milid Kulkarni all’harmonium, Gurdain Rayatt alle tabla e due suonatori di tanpura) e poi il quartetto composto da Pandit Kushal Das (sitar), Shashank Subramanium (flauto carnatico), Shubhankar Banerjee (tabla) e Patri Satish Kumar (mridangam).

Sabato 24 concerto «Glorious Morning Ragas» alle 10 del mattino a San Francesco, mentre in serata all’Alighieri ancora due concerti. Prima Ustad Bhauddin Dagar (rudra veena) con Pelva Naik (canto dhrupad) e Surdarshan Chana (jori), e a seguire Ranjani & Gayatri (canto khayal), Patri Satish Kumar (mridangam), Giridhar Udupa (ghatam) e Jyotsna Shrikanth (violino).

Concerti 26-30 euro.

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Romagnoli fra tabla e sarod

Non è una novità che l’India musicale intrighi tanti musicisti occidentali e sarà forse perché i romagnoli sono, anche, un popolo di naviganti e viaggiatori che sono più d’uno i professionisti del nostro territorio che ai raga e al suono indiano sono legatissimi, al punto di aver passato anni a perfezionarsi proprio in India, magari alzandosi puntuali ogni mattina alle 4 per preparare il tè al maestro, come si usa fare da quelle parti. Ad esempio il 38enne godese Ciro Montanari - che tra le altre cose ci assicura la qualità dei concerti che vedremo a Ravenna per il Darbar Festival - studia le tabla dal 2003 con il maestro Pandit Sankha Chatterjee, di cui ha seguito i seminari in India per anni. Collaborando con tante formazioni (e mescolando l’idioma musicale indiano con quelli irlandesi, afroamericani, spagnoli e afgani) ha suonato in Francia, Irlanda, Polonia, Spagna, Grecia e, naturalmente, India, mentre in questi giorni si trova in Turchia. Il 49enne ravennate Matteo Scaioli, noto in zona soprattutto per i suoi lavori di musica elettronica e le installazioni sonore all’Arena delle Balle di Cotignola, a 21 anni si imbarcò per Calcutta dove seguì le lezioni di tabla del Pandit Shanka Chatterjee, oltre a viaggiare nello Sri Lanka e in tutta l’Asia. Decisamente eclettico anche nel liberale universo della world-music, Scaioli si è avvicinato anche alla musica giapponese, brasiliana e alla techno Coccoluto, insieme al quale suona synth analogoci anni ’70. Gli elettronici Liquid Desire sono il progetto a cui si è dedicato di più negli ultimi anni. Suona sempre le tabla e ha avuto il medesimo maestro degli altri due Alessandro Servadio, docente dello strumento alla scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli e al conservatorio di Ferrara. Da quasi vent’anni Servadio tiene seminari in Italia, ma anche a Berlino e Calcutta, collaborando con tanti musicisti indiani.

Viene da Ravenna anche Riccardo Battaglia, jazzista che nel 2001 si trasferisce per un certo periodo a Bombay e studia il sarod (liuto non temperato, simile al più noto sitar) con Pradeep Kumar Barot, fondando insieme al maestro il gruppo Takshila, grazie al quale si è inserito da protagonista nella scena musicale di Bombay, tanto che nel 2007 si è aggiudicato - primo occidentale in 46 anni - il premio «Sur Mani» per la migliore performance strumentale.

Anche il brillante pianista e compositore ravennate Matteo Ramon Arevalos ha affrontato – nella sua arte composita e pur senza avere studiato in India – anche la musica indiana, ad esempio con la recente performance «Indian Piano», nella quale prepara il piano con tessere di mosaico facendolo suonare simile al santur e al sitar. E’ infine riminese, ma legatissimo sia all’India che al Ravenna Festival, il flautista Fabio Mina, autentico esploratore delle musiche asiatiche (con il trio Mothra, di cui fa parte il percussionista russiano Marco Zanotti, ha dato poco suonato in Cina) che sul versante indiano ha approfondito soprattutto il bansuri, flauto traverso di bambù.

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