Fabrizio Coniglio racconta con Bebo Storti una storia di mafia, Stato e amicizia a Conselice

Bassa Romagna | 02 Febbraio 2018 Cultura
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Elena Nencini
La storia di un’amicizia «vera» tra due uomini, un magistrato e un giudice, ma anche dei rapporti tra mafia e Stato negli anni Ottanta: di questo parla Il Testimone – Una storia vera di trattativa Stato mafia, scritto da Mario Almerighi e Fabrizio Coniglio, diretto e interpretato da Bebo Storti e dallo stesso Coniglio, che andrà in scena venerdì 2 febbraio alle 21 al teatro Comunale di Conselice. Il 25 gennaio del 1983 il magistrato Giacomo Ciaccio Montalto fu barbaramente assassinato mentre scendeva dalla sua auto, vicino a Trapani; all’amico lontano, il giudice Mario Almerighi, aveva confidato che la mafia aveva contatti dentro il tribunale di Trapani. Dieci anni dopo, Giulio Andreotti sarà messo sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Vent’anni dopo la morte di Ciaccio Montalto, Almerighi decide di testimoniare al processo Andreotti, sarà attaccato in tv come «folle», proprio dall’imputato eccellente. Almerighi vincerà poi la causa per calunnia.
Chiediamo a Coniglio, attore e regista del testo, com’è nato questo spettacolo. «È nato perché avevo già collaborato con Almerighi per lo spettacolo Suicidi - spiega Fabrizio Coniglio -. Mario (Almerighi nda) infatti aveva scritto un libro meraviglioso su cui mi basai (Suicidi? Castellari Cagliari Gardini, nda). Lavorando allo spettacolo si è creato un legame di amicizia e un giorno mi ha raccontato questa storia, una storia tutta ‘sua’: era l’unico in Italia ad aver vinto una causa contro Andreotti. Con i soldi incassati, comprò una barca usata dove passava il tempo pensando al suo amico Ciaccio. Lo spettacolo racconta una storia di amicizia, di giustizia, contro un potere arrogante. Ne emerge il vero significato della parola “trattativa”, ovvero quando pezzi dello Stato vanno a braccetto con la mafia. Almerighi è mancato un anno fa e noi facciamo questo spettacolo con ancora più partecipazione, per ricordarlo».
Come si svolge lo spettacolo?
«Un viaggio in barca di due giudici da Civitavecchia a Trapani. Due amici e una grande passione per il mare. Giacomo confessa a Mario che all’interno della procura di Trapani ci sono dei giudici che non gli piacciono e, prima di Falcone, batterà quella strada. Farà però lo sbaglio di affidarsi a un giudice corrotto, che lo tradirà: morirà nella sua auto, con un thermos di caffe tra le gambe, per stare sveglio e ascoltare le intercettazioni. Quando muore Ciaccio, Almerighi giura di vendicarlo».
Com’è lavorare con Storti, con cui ha già collaborato in «Suicidi»?
«Quello spettacolo era diverso, più ironico, interpretavamo due carabinieri, parlavamo di persone che non avevo mai conosciuto. Non c’era partecipazione emotiva. Con Bebo ci conosciamo da 7 anni e tutto fila liscio. La parte del testo l‘ho scritta insieme a Mario, lui mi raccontava la storia, poi io la sistemavo e cercavo di strutturarla in dialoghi. Ci sono tante ombre su quei suicidi. Sono stati anni segnati da rapporti inquietanti».
Qual è l’importanza del teatro civile oggi?
«Mi sto interrogando su questo. Ero innamorato di queste storie, ma purtroppo oggi il teatro civile è abusato e la politica ha preso una piega così bassa che la gente ne è nauseata. Si è imbarbarito il dibattito, è sceso sotto zero, da un punto di vista antropologico, culturale. Questo mi ha spinto a fare Un borghese piccolo piccolo, un classico, ma molto potente a livello emozionale. Bisogna ripensare all’importanza del teatro se si vuole smuovere, essere come un terremoto; il teatro non ha censura, come la televisione o il cinema. Per questo penso che oggi certe tematiche a teatro bisogna affrontarle in maniera diversa. Oggi c’è garantismo a qualunque costo, manca una discussione sui fatti e questo offusca la memoria».
Per questo nel suo curriculum ci sono classici come «Il mercante di Venezia» e «Riccardo III»?
«Fanno parte di un periodo della mia vita lontano, un tipo di teatro in cui è più importante l’idea registica che la storia. Poi ho deciso di fare teatro civile, documentaristico, cominciando con la storia di Michele Calipari, un lavoro con le scuole molto emotivo. Adesso penso che probabilmente si possano raccontare certe storie, ma in modo meno documentaristico, per esempio in Un borghese piccolo piccolo quest’uomo fa di tutto per sistemare il figlio ad ogni costo nel suo ministero, un figlio che non ha nessun talento. Così creiamo una società senza talento. Mi piace raccontare questa dimensione popolare che arriva a tutti. La sfida è farlo per un pubblico più vario».
Ha da poco fatto parte del cast della serie «Rocco Schiavone».
«Si, adesso sto girando Un’allieva e un’altra serie con Cotroneo. Cosa posso dire? Che Giallini è un attore pazzesco e a me piace moltissimo spaziare da un genere all’altro».
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