Alessio Boni nei panni di «Dio» all'Alighieri

Ravenna | 30 Gennaio 2015 Cultura
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Alessio Boni ritorna a lavorare con Alessandro Haber in uno spettacolo che si interroga sulla vita e sulla morte, sui fini dell'esistenza, sull'etica, sulla religione in un surreale dialogo tra Dio e Freud, scritto da Éric-Emmanuel Schmitt (suoi i libri Monsieur Ibrahim e I fiori del Corano). Dal 29 gennaio all’1 febbraio (domenica ore 15,30) al teatro Alighieri va in scena Il visitatore, in una Vienna occupata dal Terzo Reich, dove Freud e un visitatore – forse lo stesso dio – si incontrano e discutono in un vero e proprio duello di opinioni. Nei panni di Dio è proprio Boni che non si fa problemi per tale ruolo e lo minimizza.
Non le crea qualche problema impersonare Dio?
«Ma no, non dovete prendere tutto alla lettera. È una bellissima idea di Schmitt, prende un pretesto per mettere in scena due personaggi all'opposto: quello agnostico, non credente, ateo che è Freud e il massimo della fede. Chi può rappresentare la fede? Una luce, Dio, che si impossessa di un corpo di un attore che nascerà molto anni dopo lo psicoanalista e quindi potrei essere tranquillamente io. La scelta di Dio da parte di Schmitt dimostra la sua grande intelligenza: se avesse scelto un'altra icona, come Gesù Cristo o il papa, tutti avremmo cercato di caratterizzarlo con un certo tipo di estetica. Invece dio può essere qualsiasi persona perchè non ha un volto, è una luce, una fede, ognuno poi ha il suo dio. È una forza, un'energia. E' questa l'intelligenza:  voi vedrete due personaggi in scena che si mettono a nudo e diventano persone. Esce l'uomo pensante e l'uomo non pensante, la morale, l'etica, si tocca anche la fede, la conversione. Ma si aprirà sempre più la soglia del dubbio, il mettersi in discussione. Questa è la cosa molto interessante».
Ha dubbi nella vita di tutti i giorni?
«Si, ovviamente. Chi ha totali certezze, come fai ad averle? Non è una diffidenza negativa, ti chiedi se ti sei comportato bene, se hai fatto bene a dare un consiglio a quel tuo amico, ad agire in un certo modo. Noi attori siamo l'apoteosi del dubbio, è un mestiere precario in continuazione, dall'inizio alla fine dei nostri giorni. Non sai mai cosa farai, quello che succederà. E' un continuo domandarsi cosa piacerà al pubblico. E' un continuo esame come diceva Eduardo. Fai tre mesi una tournèè, poi un film, poi torni a fare una fiction poi torni a fare teatro. Un continuo analizzarsi  e mettersi in gioco».
Lavora dopo «Art» di nuovo con Haber. Un duo affiatato?
«Si, peccato che non siamo riusciti a trovare un testo con Gigio Alberti perchè eravamo proprio un trio affiatato. Mi piacciono gli attori che si danno, che  si concedono totalmente e in questo Haber è un compagno fantastico, affidabilissimo. E' un libro aperto, o ti piace o non ti piace. E' dedito al progetto e cerca di aiutare me e gli altri, dà sempre consigli. È un grande appassionato del suo lavoro».

prosegue su settesere in edicola dal 30 gennaio
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