Alberto Mazzoni, neo segretario generale della Fp Cgil: «I lavoratori non accettano più le divisioni. Preoccupato per i tagli che influenzano i servizi»

27 Settembre 2014 Blog Settesere
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Alberto Mazzoni, 53 anni, ravennate, sindacalista dal 1988, tra i deus ex machina della Fondazione Teatro Socjale di Piangipane, è il nuovo segretario della Funzione pubblica della Cgil, la categoria che difende i lavori del pubblico impiego che conta in provincia circa 4.500 tesserati. Succede a Marinella Melandri, chiamata dal segretario Costantino Ricci in segreteria. Mazzoni nasce metalmeccanico nel 1977 alla Tozzi, dove per nove anni fa il delegato. Iniziano lì le sue battaglie e in seguito diventa distaccato Fiom. Il primo incarico da segretario della categoria degli energetici, poi dei tessili, dove gestisce anche le prime tensioni della fu Omsa di Faenza. Seguono gli anni da coordinatore (2004-2012) dell’area lughese, dove è tra i promotori della Conferenza economica, del primo patto per lo sviluppo tra imprese, sindacati e istruzioni, oltre che tra i principali sponsor dell’Unione dei Comuni. Nel 2012 approda alla Fp Cgil. Spesso in frizione con la segreteria, è da tempo un pungolatore della maggioranza, ma mai all’opposizione.
Mazzoni, conferma quest’impostazione o il tempo l’ha ammorbidita?
«E’ un periodo complesso e pieno di contraddizioni: oggi più che mai servono cambiamenti e occorre stimolare un dibattito propositivo».
Quali sono le principali sfide che l’aspettano da segretario del pubblico?
«La prima è interna: riorganizzare la struttura con meno personale dopo i tagli voluti da Renzi, con l’ambizione di mantenere invariata la qualità del servizio offerto ai nostri iscritti e la capacità propositiva. Le sfide sono tante: Ausl unica, cooperative sociali, la riforma degli enti pubblici, il blocco del contratto collettivo. La sfida più complessa è portare il nostro contributo per avere un contratto unico di filiera e aiutare i lavoratori pubblici a dialogare maggiormente con quelli delle cooperative sociali. Serve uno scatto culturale».
Spesso i lavoratori del settore pubblico sono visti come dei privilegiati. Qualche colpa l’hanno anche loro?
«E’ un mito da sfatare, a meno che il modello che vogliamo sia quello della Fiat dei ‘licenziamenti a prescindere’. Vincono un bando e fanno quello che gli viene chiesto. Mi interessa di più parlare di una riforma profonda del pubblico impiego e del ruolo dei dirigenti. Parliamo di efficientamento della struttura: è più serio».
La riforma delle Provincie come influirà sui dipendenti? Teme tagli?
«Per ora la riduzione del budget di 8 milioni di euro in 5 anni ha inciso sui servizi ai cittadini, il che significa agricoltura, scuola, strade provinciali, promozione e ricerca di fondi europei (240 milioni intercettati in 10 anni). E questo mi preoccupa. Per i dipendenti si prevede un netto taglio di personale dal blocco delle assunzioni: 45 persone in meno su 420 nei prossimi 3 anni. Dobbiamo ragionare sulle funzioni e a chi attribuirle».
Come giudica l’Ausl unica della Romagna?
«E’ un programma ambizioso che forza i tempi di 4 territori che non erano pronti, ma può portare risultati positivi se gestito bene con una razionalizzazione degli investimenti e un riordino del welfare».
Le riforme della Pubblica amministrazione e del Lavoro la preoccupano?
«Sì, perché non sono figlie di un dibattito sui problemi reali, ma degli spot di turno: chiusura delle provincie, riduzione dei trasferimenti alle Camere di Commercio, ecc. Ma attenzione, siamo entrati nel merito dei 44 punti e ne abbiamo condiviso la maggior parte. In più abbiamo chiesto un confronto sul 6° blocco consecutivo del contratto. E’ una base da cui potrebbe partire una discussione seria».
Il sindacato ha fatto fino in fondo il suo dovere in questi anni?
«Serve sempre l’autocritica. Direi di no: i nostri iscritti sono pronti ad una rappresentanza comune. Non accettano le schermaglie tra sindacati. Dovremmo presentare le diverse idee, farle votare e parlare con una voce unica. Abbiamo percorso strade diverse: Cgil da una parte, Cisl e Uil da un’altra. Il risultato? La condizione dei lavoratori è peggiorata».

Christian Fossi
economia@settesere.it
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