La Guardia Costiera ha supportato Mare Nostrum: «Abbiamo salvato 1.200 migranti nel mare siciliano»

Ravenna | 21 Settembre 2014 Blog Settesere
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Nell’ultima settimana i migranti annegati per attraversare il Mediterraneo sono circa 500, un dato che si aggiunge secondo l’Unchr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ai 2.500 morti dall’inizio del 2014. Una tragedia senza fine che il Governo italiano ha cercato di fronteggiare con l’operazione militare e umanitaria Mare Nostrum. L’afflusso di migranti nello stretto di Sicilia ha portato ad uno stato di emergenza umanitaria che ha coinvolto tutte le forze di controllo italiane. Mare Nostrum vuole garantire la salvaguardia della vita in mare e assicurare alla giustizia tutti coloro che lucrano sul traffico illegale di migranti.
Anche la Capitaneria di Porto di Ravenna ha agito a supporto dell’operazione inviando una motovedetta e dieci uomini a Lampedusa, dove è entrata a far parte della 7ª squadriglia della Guardia Costiera, composta da unità navali di diverse capitanerie italiane. La motovedetta ha fatto la spola, per soccorrere i migranti, tra l’isola di Lampedusa e le acque territoriali della Libia, salvando 1.200 persone in 460 ore di lavoro e percorrendo 4.800 miglia nautiche. A spiegare come si svolgevano le giornate di questi uomini è il capo di 1ª classe/NP Giulio Nardozza, comandante dell’unità: «Abbiamo effettuato diverse missioni notturne e portato in salvo oltre mille persone, spesso in situazioni difficili da gestire per la presenza di donne e bambini. Buona parte erano siriani in fuga dal conflitto che si consuma in quel paese».
Un’esperienza che ha toccato tutti i partecipanti, continua Nardozzi: «Una missione che resterà indelebile per la consapevolezza di aver operato a favore del prossimo. Rimarrà l’intensità degli sguardi di tutte quelle persone strappate ad una sorte severa e riconsegnate alla vita, in quegli istanti le certezze svanivano, tutto l’addestramento fatto prima della partenza si dissolveva, esisteva solo la consapevolezza di dover salvare molte persone che sfidano il destino. Erano tanti i genitori che volevano proteggere i propri figli per i quali auspicano un futuro migliore ed una vita diversa».
La missione è stata piena di momenti toccanti e impegnativi, in particolare il comandante ne ricorda due. «Al nostro arrivo sull’isola siamo stati subito dirottati su un peschereccio con a bordo oltre settecento migranti. Ho ancora impressa in mente l’immagine di quel peschereccio mentre ci avvicinavamo lentamente: le sue condizioni di stabilità erano vistosamente a rischio per l’eccessivo numero di persone - in buona parte donne e bambini - a bordo. Per fortuna li abbiamo tutti tratti in salvo. In un altro caso siamo arrivati a circa venti miglia (quaranta km) dalle coste libiche: avvicinandoci alla zona di operazioni recuperavamo migranti disperati, caduti in mare, che si mantenevano a galla aggrappati agli oggetti più disparati. Il gommone con il quale avevano intrapreso la traversata era, infatti, affondato».
A partecipare alla missione anche Maurizio Petruzzello, capo di 1a classe, con il ruolo di nostromo cioè colui, che, tra l’altro, provvede a mantenere in  efficienza l’unità navale. Tanto che così ricorderà questo periodo: «Le giornate a bordo dell’unità trascorrevano veloci, il tempo non bastava mai. Svolgevamo pattugliamenti notturni nell’area delle isole Pelagie ed al rientro a Lampedusa l’equipaggio si occupava di rassettare l’unità e di effettuare le provviste di bordo ed i rifornimenti d’acqua».
Della missione ha apprezzato anche la collaborazione con i colleghi, continua: «Come nostromo dovevo organizzare e sovraintendere a tutte le operazioni di recupero e trasbordo dei naufraghi stessi, quindi ero molto attento alla loro incolumità. Le notizie che mi hanno sempre riportato i colleghi sono state preziose anche se le esperienze dirette non si possono raccontare, bisogna viverle per capire. I migranti che abbiamo soccorso sono persone che fuggono da guerre, perseguitati per la loro religione o per idee politiche. Abbiamo fatto il nostro dovere aiutandoli». A colpire in particolare il nostromo il fatto che: «ho scoperto, con stupore, che anche sulle ‘carrette del mare’ dove vengono imbarcati questi sventurati, ci sono le divisioni per ‘classi’. In base al prezzo pattuito potevano accedere ad alcune zone della nave e non ad altre. Chi pagava un prezzo più alto aveva diritto alla luce del sole e ad una certa libertà di movimento, altri erano costretti a sedere ammassati nelle stive».
A bordo della motovedetta CP 274 anche Nicolò Sparta, capo di 2a classe, direttore di macchina a bordo, che commenta: «Ognuno di noi, specialmente durante le fasi del soccorso, aveva chiara la sua mansione specifica contribuendo così alla riuscita delle delicatissime fasi del trasbordo e del salvataggio dei migranti».
Sarà difficile per lui dimenticare un episodio in particolare: «Durante una delle nostre attività di soccorso si era smarrita una bimba di 4 anni ed i genitori erano disperati. Dopo diverse ore l’abbiamo ritrovata esausta ed impaurita: l’abbraccio commovente tra la piccola e la sua mamma ci ha emozionato e la felicità ci ha fatto dimenticare ogni difficoltà e stanchezza».
A fare parte della missione anche Idalgo Muia, Francesco Corrado, Giuseppe Vitale, Savino La Notte, Nicola Di Modugno, Roberto Ingenito e Valerio Fratini.

Elena Nencini
cultura@settesere.it
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