Giancarlo Mondini, sommelier Ais: «Sfruttiamo poco i nostri grandi vini»

27 Giugno 2014 Blog Settesere
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«Lascio un Ais Romagna e un mondo enologico cresciuti in quantità e qualità. Il cambio è all’insegna della continuità, ma con una ventata di freschezza tra i candidati: un ottimo mix per affrontare un futuro di crescita». Così Giancarlo Mondini descrive il cambiamento dell’associazione dei sommelier e del mondo del vino romagnolo nei suoi 18 anni alla guida di Ais Romagna (che oggi conta intorno ai 900 iscritti) dopo che lunedì 23 giugno scorso ha lasciato la carica a Roberto Giorgini, 64 anni, cesenate, dirigente romagnolo di Camst (andrà in pensione il prossimo 30 giugno), che ha affiancato il presidente uscente nei suoi mandati e che ha ricoperto ruoli di respiro nazionale.
Un cambio annunciato. In che mani lascia l’associazione?
«Roberto darà continuità: mi ha accompagnato nell’amministrazione durante tutta la mia avventura e ha un’esperienza di oltre dieci anni al consiglio nazionale. E’ la persona giusta. Però anche le altre due candidature hanno portato un apporto. La cotignolese Annalisa Linguerri è una giovane in gamba, ha preso la metà dei voti di Giorgini, ma sono sicuro che la collaborazione tra loro porterà novità interessanti. Mauro Gramellini ha puntualizzato invece un aspetto interessante proponendo la formazione nelle scuole superiori dell’educazione al mondo del vino».
In questi 18 anni com’è cambiata l’Ais Romagna?
«Entrato in Ais nel 1984, dopo esser stato delegato della provincia di Ravenna dal ‘90 al ‘96, ho ricevuto un’eredità pesante come quella di Terenzio Medri che poi è diventato anche presidente nazionale. Ho ereditato contatti importanti, ma poi ho maturato le mie esperienze. Ho vissuto gli anni del boom dell’associazione e un cambio del ruolo del sommelier da una visione legata al ristorante a quella più allargata di oggi. Abbiamo retto negli anni della crisi e in tutti questi anni mi ha fatto piacere vedere una fascia media dei nostri soci tra i 25 e i 35 anni che si avvicinano al mondo del vino».
Com’è cambiato il mondo del vino romagnolo in questi anni?
«E’ cresciuto in qualità, un po’ in immagine, seppure qui ci sia molto da lavorare. L’export è legato alle grandi cooperative, mentre gli altri privati faticano. Serve una crescita dell’immagine e per questo è necessario fare squadra tra istituzioni, produttori, professionisti e associazioni di categoria».
Cosa manca per fare il salto di qualità?
«Abbiamo vini competitivi in qualità e prezzo, ma manca il brand di appeal come possono essere Barolo e Barbaresco che sono patrimonio Unesco. Serve un’offerta e una promozione turistica sui nostri vini sfruttando i grandi flussi di ospiti a partire dalla riviera. Ma per questo servirebbe un maggiore attaccamento al territorio da parte degli imprenditori del settore che oggi spesso manca».
Quindi il Sangiovese può essere un vino di respiro internazionale?
«Lo è già per la Toscana, meno per Romagna, Marche e Umbria che comunque ne producono tanto. Abbiamo molti vini adeguati alle richieste del mercato, soprattutto quelli prodotti da giovani viticoltori che hanno investito non hanno nulla da invidiare ad altre realtà molto quotate. Non dimentichiamo che il calo interno del consumo di vini rende necessario un incremento dell’export».
Tra i bianchi è meglio puntare sull’Albana o sul Trebbiano?
«Su entrambi. Per un bianco fresco, da bere senza troppi pensieri, il Trebbiano può avere ottime performance e un buon mercato. L’Albana è un vitigno di una certa importanza che abbiamo solo noi e non riusciamo a sfruttarlo come dovremmo. Non ha un brand di qualità definito e riconosciuto, ma è un’uva con un grosso potenziale di aromaticità, zuccheri e acidità: abbiamo una Ferrari e non la sappiamo accendere. E’ il gioiello della nostra enologia, ma parliamo di solo un milione di bottiglie».
I vitigni autoctoni «minori» che ruolo possono avere?
«Un ruolo interessante di contorno a quelli principali. Si può notare una crescita di alcuni di questi vitigni come Famoso, Centesimino e Lanzesa, ma bisogna farli conoscere per poterli fare apprezzare fuori dai confini attuali. Oggi sono vini che hanno un respiro provinciale o al massimo regionale».

Christian Fossi
economia@settesere.it

Nella foto con Roberto Giorgini e Annalisa Linguerri

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