«Hanno disintegrato il mercato della nautica: oggi i cantieri sono pochissimi e lavorano soprattutto per manutenzione e commercializzazione dell’usato. E’ da ricostruire ripartendo quasi da zero». E’ questa, in sintesi, l’analisi di
Angelo Carnevali, presidente del
Consorzio export nautico di Ravenna e titolare del cantiere navale
Carnevali Yachts, sullo stato di salute della nautica da diporto.
«Le colpe? Metto in primo piano il terrorismo mediatico che continuano a fare, oltre all’ andamento generale dell’economia - continua Carnevali -. Per quanto riguarda l’export abbiamo sondato il mercato cinese e ora stiamo provando con Dubai, ma la concorrenza è elevata. I cinesi non sono interessati alle barche: vogliono comprarti, prendere il know how a basso costo e produrre in Cina. Per questo sto abbandonando quel mercato a favore di India ed Emirati Arabi. Comunque andare all’estero è complesso perché servono investimenti per servizi, assistenza, rapporto con i venditori».
Il mercato potenzialmente migliore rimane dunque quello italiano, «dove abbiamo anche la cultura della barca e questo lavoro nel sangue - commenta Carnevali -: sono la seconda generazione, non voglio buttare via un patrimonio di conoscenze come questo, anche se sacrifici ne sono già stati fatti visto che dai sessanta dipendenti che eravamo, oggi ne sono rimasti quattro. E non si è distrutto solo il settore, ma anche l’indotto: marine, commercio, turismo. I controlli vogliamo che ci siano e che funzionino, ma ci dev’essere una logica: le persone non possono essere fermate decine di volte in pochi anni».
La produzione è ferma anche al
Cantiere navale De Cesari di Cervia dove sono rimasti 8 dipendenti sui 20 di pochi anni fa. «Oggi facciamo principalmente carenamenti e manutenzione di vario genere - spiega
Pier Paolo De Cesari -. Dalla prima metà di aprile lavoriamo a pieno regime, ma verosimilmente i lavori dureranno fino al massimo a metà di giugno. I piccoli lavori, la manutenzione e i restauri sono aumentati e ho clienti che vengono da tutta Italia perché i cantieri hanno chiuso un po’ ovunque, ma l’ultima barca l’abbiamo costruita nel 2011. Addirittura un’altra è rimasta a mezzo: il cliente è stato fermato dal suo commercialista che non voleva problemi. Nell’ultimo periodo abbiamo fatto qualche preventivo all’estero per tedeschi e inglesi: il futuro è nell’export. Fuori dall’Italia la nautica lavora: alcuni miei ex dipendenti lavorano in Croazia o in Corsica e due che sono ancora in organico hanno delle offerte dall’estero. Sono tutte figure altamente specializzate. Clienti potenziali ci sarebbero, ma sono terrorizzati dai controlli che vanno fatti, ma senza tanta pubblicità. Che io sappia, i miei clienti non hanno avuto problemi, ma sono stati fermati tutti ripetutamente».
Non cambia la musica nel
Cantiere nautico Dellapasqua di Ravenna, come sottolinea
Mirco Dellapasqua, figlio del fondatore Giancarlo, oggi amministratore del cantiere navale: «Adesso si fa solamente del rimessaggio: hanno demolito il settore. Come? Hanno spaventato la gente che vuole comprare la barca al posto di incentivarla. I controlli è evidente che vanno fatti, ma le barche hanno la targa, quindi si potrebbe fare incrociando i dati e senza fermare sempre le stesse persone più volte in pochi giorni. I risultati sono stati la chiusura dei cantieri, nuova disoccupazione e la dispersione di un patrimonio culturale unico al mondo. Oggi ci troviamo cantieri storici come Ferretti e Della Pietà presi dai cinesi che prima o poi sposteranno la produzione in Asia. Ho avuto offerte? No, perché non hanno la cultura della barca: riescono a fare un prodotto seriale, non di qualità e su misura per il cliente come i nostri».
Dellapasqua è tiepido anche sull’export. «In questi due anni ci siamo mossi cercando nuovi mercati, ma non ci sono tutte queste opportunità come può sembrare - spiega -. Il mercato russo, ad esempio, richiede barche di lusso da 50-60 metri o nulla. La barca media, per fare una vacanza come in camper, non viene capita nei Paesi emergenti. Proviamo anche in Cina, ma il mercato migliore era quello italiano che avrebbe ancora grandi possibilità. Adesso devo mandare alcuni pescherecci in Brasile, per mostrare le loro caratteristiche, ma la produzione andrebbe fatta là: tutelano bene la loro economia con un dazio del 50%. Ho dovuto chiudere la produzione grazie all’assurda legge del governo Monti che stabiliva che per comprare una barca bisognava dichiarare sei volte il reddito dell’acquisto».
Per il rilancio «basterebbe poco - conclude Dellapasqua -. Fare i controlli in maniera sensata e incentivare la rottamazione di barche che non possono più navigare e che oggi troviamo spesso nei campi, abbandonate come rifiuti con danni ambientali evidenti. Inoltre i vecchi operai, quelli che conoscono il mestiere, non devono essere rottamati: questo è un lavoro che si impara in cantiere».
Christian Fossi
economia@settesere.it