Il raviggiolo dai cappelletti artusiani al Presidio Slow Food

Romagna | 29 Gennaio 2017 Le vie del gusto
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Il raviggiolo è un formaggio a pasta molle tipico dell’appennino tosco romagnolo (ma prodotto anche da altre parti d’Italia) che trova una sua identità nella prima ricetta delle minestre in brodo de «La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene» di Pellegrino Artusi, «I cappelletti all’uso di Romagna» dove è il re del ripieno insieme alla ricotta. La prima citazione è però ben più antica: nel 1515 vi è traccia in un dono portato a papa Leone X «raviggioli presentati in un canestro e ricoperti di felci».
Ovino in Toscana (eccetto nel Mugello), viene prodotto con latte vaccino pastorizzato, eccetto per quanto riguarda il disciplinare Presidio Slow Food «Raviggiolo dell’Appennino tosco romagnolo» che viene prodotto con latte crudo e caglio, senza rompere la cagliata, ma solo scolando la massa e salandola in superficie. Ha una forma circolare di circa 20/25 centimetri di diametro e uno scalzo variabile fra i due e i quattro centimetri. Solitamente si presenta adagiato su rametti di felce maschio. Diffuso in tutta la macroarea, il prodotto marchiato con la chiocciolina più famosa d’Italia si produce da ottobre ad aprile e può essere consumato esclusivamente fresco entro 3/4 giorni dalla produzione.
«E’ un formaggio dalla storia antica che veniva prodotto per essere consumato in casa: prima si faceva la ricotta da vendere, poi il raviggiolo da mangiare in casa - spiega Lamberto Albonetti, responsabile del presidio Slow Food -. L’avventura di questa riscoperta è dell’inizio degli anni Duemila grazie alla volontà del Parco delle Foreste Casentinesi, entro i cui Comuni dev’essere prodotto per rispettare il nostro disciplinare, e grazie a una deroga dell’Asl di Forlì per poter lavorare il latte crudo».
Purtroppo sono rimasti un paio i portatori di questa antica tradizione: l’azienda agricola Roberto Boscherini a Santa Sofia (Fc) e l’azienda agricola Boschetto di Stefano Cucchi a Premilcuore (Fc). «Stiamo lavorando per implementare i produttori - conclude Albonetti -. Ci speriamo, ma sappiamo bene che è più difficile lavorare il latte crudo a causa di molte limitazioni».

Christian Fossi
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