Il Carnevale è dolce: da sfrappole e castagnole a frittelle di riso, tagliatelle e tortelli fritti
In Romagna il Carnevale, dal punto di vista gastronomico, fa rima con fritto. Soprattutto se si parla di dolci. Una tradizione popolare che accompagna in modo sontuoso, e per i più ironici untuoso, l’arrivo della Quaresima. Quest’ultimo invece simbolo di rinuncia, digiuno e astinenza dal mangiare cibi ricchi e sostanziosi. Nel periodo dell’anno più scherzoso e ironico nelle case e nelle vetrine dei forni e delle pasticcerie spuntino così gli immancabili fritti.
Simbolo alimentare per antonomasia di questo periodo sono le sfrappole o frappe. Impasti di farina, zucchero, uova, burro, insaporiti con scorza di limone e liquore (anice o brandy) che trovano l’apoteosi della propria identità golosa in un tuffo dentro strutti bollenti (oggi oli). Una volta fritti questi pezzi dorati e aromatici di sfoglia di solito vengono cosparsi di zucchero a velo. Per i più tenaci ed amanti dei colori e dei sapori forti il tutto può essere arricchito con una spruzzata di alchermes.
Meno «nobile» come origine è invece la storia della tagliatella fritta, dolce imprescindibile nato dal tagliere domestico e molto apprezzato per la semplicità e l’immediatezza del gusto. In questo caso la tagliatella romagnola acquista una valenza in più passando da piatto principale, a volte unico, dell’alimentazione rurale direttamente a quella di dolce. A carnevale le azdore erano solite arricchire le lunghe strisce di pasta tirata al matterello con zucchero e succo di limone o di arancia. A differenza delle «sorelle» questa variazione zuccherosa prevedeva e prevede ancora oggi la realizzazione di rotolini immersi successivamente in olio bollente.
Un altro particolare dolce carnevalesco, questo più conosciuto e mangiato nella Bassa Romagna, sono i tortelli fritti. Anche in questo caso il richiamo ai loro parenti salati è netto ed inequivocabile. Quello che cambia è soprattutto il ripieno. Niente erbe e formaggi freschi bensì cuori di marmellata o confettura, rigorosamente fatte in casa, racchiusi in sottili abbracci di impasti realizzati con farina, latte, burro e sale. Come tutti gli altri dolci del periodo, anche in questo caso, ogni tortello viene fritto e spolverato di zucchero semolato e spruzzato di alchermes.
Chi invece non manca mai in terra solatia, lo stesso Pellegrino Artusi ne fa menzione nel suo testo culinario come protagonista «delle Romagne» del gusto carnevalesco, sono le castagnole. Comuni e tradizionali «chicche» ricche quanto a ingredienti e molto comuni nella tradizione dolciaria italiana sono le castagnole di Carnevale. Un dolce invernale che, come altri suoi simili, sposa la «ricchezza e grassezza» dell’impasto con la popolare e rurale origine. Anche in questo caso gli ingredienti sono farina, uova e limone a cui si aggiunge un piccolo cucchiaio di fumetto, (liquore aromatizzato all’anice) e un pizzico di sale. Dalla forma simile alla crema fritta queste noci di pasta irregolari dopo essere fritte verranno spolverate di zucchero, non necessariamente a velo, e servite ben calde.
A chiudere un ventaglio di dolci consumati nella quotidianità di questo periodo dell’anno ci sono le frittelle di riso. Vere e proprie invenzioni di riuso in cucina che, cotte nel latte, una volta venivano preparate utilizzando gli avanzi di cucina. Riso, latte, farina, uova, sale, Marsala secco o grappa, zucchero, sono gli ingredienti base di queste irregolari sfoglie immerse, immancabilmente, a friggere in padelle piene di strutto o meglio olio di arachidi.
Riccardo Isola