I dolci Sabadoni pre Carnevale
Brazadèla e Sabadòn. Questi sono forse i simboli della «pasticceria» romagnola popolare. Dolci semplici, antichi, quotidiani che trovano origine da quella filosofia del «chilometro zero» che non è, come oggi, moda e stile ma è sempre stata mera sussistenza alimentare. Nella Romagna contadina, sia di pianura che di collina, al termine della vendemmia, tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno, fino ad arrivare al Carnevale, le azdore realizzavano dolci utilizzando ingredienti che il territorio, l’aia e la condizione sociale potevano offrire. Ecco quindi l’arrivo sulle tavole contadine dei Sabadòn (Sabadoni). Questi particolari tortelli ripieni dolci sono figli di un’autentica tensione creativa domestica. Ogni «signora del focolare», infatti, aveva la sua ricetta segreta che custodiva gelosamente. Tra i principali ingredienti del ripieno non mancavano, e non mancano nemmeno oggi, i fagioli bolliti e passati, castagne, zucca, mele cotogne, fichi, pinoli, miele, uva passita e pane grattugiato. Questa particolare farcia deve poi essere inserita in un impasto di pasta (uova, farina, olio, lievito, zucchero e scorza di limone) chiuso in modo simile ad un cannolo. La cottura poteva e può essere di diversi tipi: bollita, in forno o fritta.
L’ingrediente fondamentale, che rende celebri i Sabadoni, aggiunto poco prima di poterli mangiare oppure, come qualcuno sostiene, inserito nello stesso ripieno, era la saba (sapa in italiano), uno sciroppo molto dolce prodotto dal mosto di uva (bianca o rossa). Uno dei nomi tradizionali con cui viene anche chiamata la Saba in Romagna è infatti anche quello di mosto cotto, vino cotto o miele d’uva. Questa salsa iper zuccherina, si ottiene dopo aver fatto bollire il mosto per diverse ore. Una consistenza densa, scura e cremosa che dal momento iniziale si sarà ridotta di un terzo e che viene colata sopra ogni singolo Sabadone.
Riccardo Isola