Piazza Kennedy: l'architetto Casavecchia: "Non piace perchè è un insieme di elementi diversi"
I bagni di piazza Kennedy sono stati uno dei pochi argomenti in grado, una volta tanto, di mettere d’accordo i ravennati. A spiegare perchè i container abbiano sollevato la stessa reazione negativa è l’architetto Massimiliano Casavecchia: «I cittadini, anche inconsapevolmente, si sentono offesi perchè la collocazione delle toilettes in uno spazio così aulico attesta una cultura della città in cui non si riconoscono. Mi spiego meglio: nella storia dell’architettura le piazze erano luoghi eminenti dove veniva rappresentata la civiltà di una comunità attraverso opere d’arte, statue e fontane, che riempivano una scena prospettica animata dalle facciate degli edifici principali. Se pensiamo a piazza Kennedy, questo spazio si giustifica attraverso la veduta di due fabbricati: casa del mutilato da un lato, esempio di architettura del Ventennio, e palazzo Rasponi dall’altro. Il container, invece, impedisce la vista di entrambi, in particolare se si arriva in piazza dalla parte del Duomo: da quella prospettiva è lampante come una baracca di cantiere e una pensilina non possano assolutamente stare in quel luogo». Alla domanda su cosa si potrebbe fare oggi, Casavecchia risponde con una proposta che ha radici lontane. «Intanto - spiega - bisognerebbe condurre un’analisi di quello che è stato fatto. Le Amministrazioni, perchè si tratta di un guaio di tante, non solo di quella di Ravenna, organizzano concorsi di architettura per la costruzione di edifici o la definizione di spazi pubblici, ma poi non se ne fa nulla. La storia di Ravenna è costellata di queste occasioni perse. Prendiamo ad esempio l’architetto Marco Zanuso, autore della pavimentazione del centro, ora tanto discussa: negli anni Ottanta firmò un interessante progetto per la riqualificazione di piazza Kennedy. Il piano prevedeva di lasciare il parcheggio al centro della piazza, ma ad un livello più basso di circa un metro, in modo che la piazza si limitasse a fungere da contorno e le macchine non rappresentassero una barriera per vedere i palazzi. Di quel progetto non ricorda più niente nessuno, anche se quella era un’idea su cui, forse, si poteva fare un ragionamento fondato. Lo stesso vale per le Antiche carceri, dove si è prima dimenticato il progetto del 1927 di realizzare una galleria commerciale, e poi si è fatto scempio degli esiti del concorso bandito nel 2005. Sulla piazza ha messo le mani il Comune, con esiti che sono sotto gli occhi di tutti». L’elenco delle occasioni mancate è lungo. «Si va dal progetto di Giovanni Michelucci del 1964 per l’auditorium di Largo Firenze a quello di sistemazione dello stesso Largo Firenze di Carlo Aymonino, fino all’abortito palazzetto dello sport di Renzo Piano». Tornando a piazza Kennedy, Casavecchia è critico nei confronti di quello che sarà il risultato finale, che vede come un insieme di elementi troppo eterogenei. «Chi studia le piazze sa che questi spazi si definiscono dal Medioevo al Seicento seguendo due regole fondamentali: costituiscono un vuoto urbano legato a un progetto specifico. Ci sono le piazze civili con il palazzo del Comune, quelle religiose con la cattedrale, quelle delle erbe con i mercati. Piazza del Popolo, ad esempio, è uno spazio vuoto con due colonne veneziane e il palazzo comunale. Piazza Duomo è invece una piazza verde, modello introdotto nell’Ottocento. Le piazze hanno sempre avuto precise connotazioni che ne identificavano il progetto. Nel caso di piazza Kennedy, invece, sono evidenti le debolezze del committente, che si riflettono poi nella poca chiarezza della resa finale: un muro, poi abbassato a livello di seduta per ricordare gli edifici che non ci sono più; uno spazio verde perchè lì c’era un giardino; una pensilina e le toilettes. Se ci fosse stata conoscenza e consapevolezza da parte degli attori, questi errori non sarebbero mai stati commessi. Il progetto lo si conosceva, era già stato criticato, aveva già sollevato dubbi, si sarebbe dovuto riflettere prima. Se proprio si voleva realizzare una piazza, era sufficiente pensare ad una bella pavimentazione, oppure recuperare il progetto di Zanuso. Una città come la nostra - che si riconosce in monumenti patrimonio dell’umanità - non può essere costretta a confrontarsi con un cesso e una fermata dell’autobus che, oltretutto, impediscono la vista prospettica degli unici fabbricati che giustificano la creazione di una piazza: è un errore semantico. Questa, però, è Ravenna. Speriamo che l’ennesimo errore serva a riflettere e cambiare le cose».(Federica Ferruzzi)