Referendum Trivelle, quant'è profondo il mare, l'analisi di Guido Tampieri

12 Aprile 2016 Blog Settesere
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Il 17 aprile c'è un referendum. Di cui non sappiamo quasi nulla. Voteremo per pre-giudizio. Su un quesito che, a essere seri, supporrebbe un giudizio. Maturato attraverso un confronto de-ideologizzato che valuti costi e benefici, presenti e futuri, di un'attività di prelievo di idrocarburi che li produce entrambi. Con equilibri che variano a seconda del contesto ambientale e delle utenze in competizione per le sue ricchezze.
Un conto è prelevare petrolio alle Tremiti, altro è estrarre metano davanti alla costa romagnola. Differente è l'impatto, diversa la considerazione sociale. Bisognerebbe cominciare di qui, da un onesto esercizio di distinzione. Che nessuno fa. L'appuntamento si è caricato di significati che non hanno niente a che vedere col quesito è lo sottraggono allo scopo dichiarato dalle Regioni che l'hanno promosso: affermare il diritto delle popolazioni a decidere del «loro» tratto di mare. Ammesso che sia giusto e possibile, visto che, dice un proverbio catalano, non si possono mettere porte nel mare.
Questo referendum minimo, come l'ha definito Ainis sul Corriere, rappresenta un insuccesso della politica. Si doveva evitare. Non solo per ragioni di costo, ma perché trovare sintesi è il compito della politica, in questo caso del Governo e delle Regioni. Tanto più che il quesito non è importante come si vuol far credere. Non è il suicidio dell'Italia, come sostiene Prodi, se vincerà il sì, non è l'apocalisse se la gente starà a casa. Il nodo dello sviluppo durevole resta comunque lì, a ingarbugliare il futuro. Il mondo ambientalista ha visto nel referendum un'occasione per riportare al centro del dibattito pubblico la questione ecologica che la crisi ha marginalizzato. Non poteva trattenersi dal farlo.
É dubbio, tuttavia, che uno scontro in cui si mischiano le vicende familistiche di un ministro e le sorti del Governo con lo sfruttamento residuale di giacimenti di idrocarburi sia il modo migliore per risvegliare le coscienze. Difficile immaginare Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia folgorati sulla via di Parigi. La formula del referendum induce una radicalizzazione: o di qua o di là, per i però non c'è spazio. É già successo che un Governo inviti ad andare al mare e non accorpi le consultazioni per evitare il quorum. Quando lo fece Berlusconi Renzi gridò allo scippo democratico. Altri tempi, la posizione dell'osservatore, si sa, influenza la percezione del fenomeno. É successo anche che un Cardinale invitasse a disertare le urne, mentre la Cei esorta oggi gli italiani a recarsi alle urne. Tutto, in questo Paese, è già accaduto. O forse niente accade mai realmente. Visto che resta terribilmente uguale. C'è stato il tempo per valutare l'impatto delle attività estrattive, a terra e in mare. Sappiamo che il turismo è un filone primario del nostro sviluppo. Vediamo le condizioni della pesca. Conosciamo lo stato del mare, gli insulti che gli abbiamo inferto senza riguardi, alcune Regioni per prime. Non ci manca niente per decidere in coscienza cosa sia meglio fare. Orientati magari da qualche buon principio che mitighi gli assolutismi presenti in ogni campo. Il principio di precauzione, diversamente da come lo rappresentano i suoi avversatori, è il primo dei principi razionali. Nasce dalla realtà, non dall'ideologia. Sono stati gli ultimi due secoli, quelli degli spiriti animali, dell'energia facile, dell'uso dissipatorio delle risorse, a cambiare la prospettiva, mettendo in primo piano la responsabilità verso il futuro. Le forze produttive sono il motore del benessere ma hanno perso la loro innocenza. Prima i beni primari erano liberi, una sorgente inesauribile cui attingere, ora sono compromessi e compromettibili. Quelli che consideravamo effetti collaterali dello sviluppo, il costo accettabile da pagare al nostro benessere, sono diventati problemi centrali. Come nelle tragedie greche c'è un rovesciamento delle cose che avevano un senso e d'un tratto ne hanno un altro. Di fronte alla qualità nuova della minaccia, la logica della compensazione viene sostituita dalla prevenzione. Che oggi è possibile perché la finitezza delle risorse è misurabile. Il domani dei nostri nipoti dipende dalla capacità di governare questa svolta. Bisogna avere riguardo all'industria, l'Italia non vive solo di paesaggio e culatello. Ma sentir dire da esponenti Pd che c'è un'ubriacatura per le rinnovabili sconcerta e sgomenta. Ogni persona assennata sa almeno due cose: che il solo futuro possibile è nelle rinnovabili, che la convivenza con l'energia fossile per un tratto di strada è una necessità. La disputa su questo punto è pura perdita di tempo.
La transizione è già iniziata. La produzione di rinnovabili in Italia è triplicata. La civiltà del carbone e del petrolio volge al tramonto, cinquanta o cento anni, in termini storici, sono nulla. Dobbiamo investire in idee, ricerca, tecnologia, per raggiungere, se mai accadrà, l'obiettivo di un'energia pulita al servizio di 10 miliardi di fruitori umani. E quello, assai più ravvicinato, di arrestare il cambiamento climatico. Prima di aver prelevato tutto ciò che fermenta nelle viscere della terra. Prima che sia tardi. Viviamo vite energivore, ma facciamo poco per cambiare, preferendo piangere ipocritamente sulle conseguenze dell'abuso. Alla terra intossicata poco importa se petrolio e metano vengono estratti in Iraq e in Algeria piuttosto che a casa nostra. Dove li usiamo. Pensare globale vuol dire anche questo. Tutti dobbiamo adoperarci per migliorare la qualità ambientale delle nostre azioni, ma, altrettanto, tutti dobbiamo accollarci le esternalità negative che il nostro stile di vita produce.
L'idea di futuro sostenibile che coltiviamo include anche un principio di giustizia. Che va oltre il cancello del nostro giardino. Il benessere a noi, i costi agli altri, non è qualcosa che si può vendere sventolando la bandiera del progressismo. Né che possa, in ogni caso, durare.
L'assunzione di responsabilità rafforza l'esigenza di prevenire o minimizzare il danno. Come viene gestito il ciclo produttivo, con quali tecnologie? Dove si fanno le trivellazioni? Ovunque c'è materia prima da estrarre? Oppure in base a una pianificazione spaziale?
Distante dalle aree sensibili, rispettosa delle problematiche del territorio. Una partita di cozze inquinate, ovunque prelevate, non deve arrivare al consumo e basta. Anche se mangiamo e respiriamo di peggio, senza scandalo.
L'Eni è un patrimonio del Paese. E tuttavia autorizzare prelievi a un tiro di schioppo dalla costa è sbagliato. Se si fanno a distanza di sicurezza si perde un po' di gas e si acquisisce il bene più prezioso, la tranquillità sociale. Nel gran calderone politicante si smarrisce anche il senso di un onesto sì al ripristino di una verifica pubblica sulla proroga dei prelievi che avrei altrimenti espresso. La sua esistenza non ha impedito, da Mattei in qua, alle imprese del settore, di sviluppare i loro programmi. In questo referendum nulla è come dovrebbe essere: mancano le domande che davvero contano e ce ne sono troppe che non hanno niente a che vedere con la sacrosanta battaglia per la salute della terra.
Della condotta della signora Guidi e del suo convivente il Paese ha già giudicato. Quando si tratterà di valutare il controverso operato di Renzi lo faremo. Non con un quesito sul metano. C'è già tanta confusione sotto il cielo. Aggiungerne altra non fa bene all'Italia. (Guido Tampieri)
 
 

 
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