Franco Nanni (Roca): «Offshore, a rischio 2.500 posti»

Ravenna | 15 Gennaio 2016 Blog Settesere
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«C’è molta preoccupazione tra gli imprenditori che ruotano attorno al settore dell’oil & gas. Nella riunione dell’associazione abbiamo analizzato dei dati sull’occupazione che sono molto allarmanti, con una stima dell’occupazione a giugno 2016 che dovrebbe essere di circa 2.500 persone in meno rispetto allo stesso periodo del 2015. Siamo già passati dalle 6.700 unità dirette di giugno scorso alle 5.800 di dicembre tra cassa integrazione, mobilità e licenziamenti (perlopiù contratti a termine non rinnovati), pari a un calo del 13%. Se le condizioni non mutano rapidamente la stima più realistica è di scendere alle 4.250 di giugno 2016, sempre considerando cassa integrazione, mobilità e licenziamenti: -27%. E’ una situazione molto complessa: stiamo parlando del più importante distretto del settore del Mediterraneo». E’ questo il quadro a tinte fosche che Franco Nanni, presidente del Roca (Ravenna Offshore Contractors Association, l’associazione ravennate dei contrattisti offshore), dipinge al termine dell’incontro con gli imprenditori soci tenutosi martedì 12 gennaio scorso a Ravenna.
Quali sono le maggiori fonti di difficoltà?
«Se iniziamo dall’estero, sicuramente il prezzo del petrolio non aiuta: le tante imprese ravennati che lavorano a livello internazionale soffrono l’assenza di investimenti da parte delle oil company. Paradossalmente sarebbe sufficiente un’attività iper sicura come estrarre metano in Italia per galleggiare in attesa di tempi migliori. E allora ecco il referendum No Triv (dei sei quesiti referendari la Cassazione ha ammesso quello delle perforazioni in mare e il 19 gennaio la Corte costituzionale esaminerà l’ammissibilità, ndr) e la legge di Stabilità che blocca le perforazioni fino a 12 miglia dalla costa. Per intenderci, tutti i pozzi davanti a noi sarebbero tagliati fuori».
Quale può essere una risposta efficace e veloce?
«Ho l’impressione che in Italia tutto quello che si vuole fare venga bloccato, ma non solo nel nostro settore. Chiaramente le perforazioni sono nell’occhio del ciclone e i contrattisti vengono a trovarsi in crisi. Si devono sbloccare le trivelle il prima possibile».
Quali sono i rischi d’inquinamento nell’estrazione di gas metano?
«Non ci sono: ne dovrebbe fuoriuscire una quantità enorme e assurda da immaginare: non è mai successo. Il rischio è ridotto e tutto legato a fattori umani. L’ultimo incidente è di 50 anni fa al Paguro».
C’è chi sostiene che favorisca terremoti e subsidenza, due rischi da non sottovalutare.
«Tutte grandi fesserie, bufale. Non ci sono evidenze scientifiche, quindi sono chiacchiere da bar».
Le eccellenze del distretto ravennate in cosa sono forti?
«Offrono servizi che coprono un vasto range: si va dalla progettazione alla costruzione e installazione in loco, per arrivare alla manutenzione e ai servizi avanzati. Abbiamo eccellenze mondiali nella fabbricazione di componenti che lavorano anche in acque profonde. Sono imprese specializzate a livelli tecnologicamente molto elevati».
Potrebbero diversificarsi facilmente nel campo delle energie verdi?
«Ormai è un settore difficile e presuppone grossi investimenti in tutti i campi. Per entrare nei campi del solare, eolico, marino sfruttando onde e correnti servono miliardi di euro per garantire i posti di lavoro che si stanno perdendo nell’oil & gas. Poi c’è la difficoltà dell’accumulo di energia elettrica: le batterie sono ferme da anni, qualche piccolo passettino si sta facendo, ma sono estremamente lenti».
Nel 2016 il greggio (arrivato sotto i 30 dollari/barile) può salire?
«A rigore di logica, essendo una risorsa finita, dovrebbe aumentare, ma interessi politici l’hanno fatto crollare nel 2015 insieme all’innegabile diminuzione dei consumi e il conseguente aumento degli stoccaggi. Per i prossimi anni è difficile pensare a un aumento significativo, almeno stando ai bilanci preventivi delle grandi multinazionali del settori. Tutti stimano un prezzo medio intorno ai 40 dollari al barile. Ma ribadisco: se in Italia si riuscisse a produrre qualcosa, le nostre aziende riuscirebbero a mantenere l’occupazione in attesa di tempi migliori».

Christian Fossi
economia@settesere.it
Foto di Massimo Fiorentini
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